E’ durato oltre otto ore l’interrogatorio di garanzia dell’ex primario facente funzioni del reparto di ginecologia dell’azienda ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria, Alessandro Tripodi.
REGGIO CALABRIA – Alessandro Tripodi (il medico che se la ride) è uno dei quattro medici posti ai domiciliari nell’operazione della Guardia di finanza “Mala sanitas” nell’ambito della quale altri sei medici ed un’ostetrica sono stati sospesi dall’esercizio della professione medica. L’inchiesta ruota attorno ad un presunto “sistema” che, all’interno degli Ospedali Riuniti, operava per nascondere eventuali casi di malasanità che si verificavano.
“L’interrogatorio – ha detto il legale di Tripodi, l’avvocato Giovanni De Stefano – è stato particolarmente approfondito e si è svolto in un clima di assoluta serenità tra le parti. Voglio sottolineare che nel corso dell’interrogatorio sono stati contestualizzati gli eventi con un’analisi puntuale delle cartelle cliniche”. All’interrogatorio, condotto dal gip Antonino Laganà, hanno partecipato i sostituti procuratori Annamaria Frustaci e Roberto Di Palma, ai quali si è aggiunto nella parte finale il procuratore aggiunto Gaetano Paci. Precedentemente, gli indagati Pasquale Vadalà, ex primario, e due assistenti, Filippo Luigi Saccà e Daniela Manuzio, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. I quattro sanitari sono accusati di associazione per delinquere e falso ideologico in atto pubblico.
Il primario che al telefono… se la ride
“Stava morendo no?” e ride. “Sto animale fa queste tragedie ogni volta”.
Intercettazioni inquietanti di due medici che parlano dell’operato di un loro collega che ha causato lesioni all’utero di una paziente, rimasta per diverso tempo “aperta e con le pezze” sul tavolo operatorio perché il dottore non sapeva come rimediare al danno.
“Sai che fai? – dice il primario Tripodi parlando al telefono con un collega – Gli devi dire ‘se non vi serve la cartella ci serve a noi’ perché abbiamo la paziente ricoverata. Hai capito? perché ora sicuramente cercheranno di pararsi il culo loro, no?!”. “Vabbé loro cercheranno di occultare il fatto che non sono riusciti a intubarlo. Speriamo che non abbia danni. Mah, comunque cazzi loro! Noi sicuramente non c’entriamo niente”. Sono altre dichiarazioni choc fatte riguardo al caso di un bambino, partorito alla 33esima settimana di gestazione, che per gravi problemi al sistema respiratorio viene trasferito in neonatologia. Ma il piccolo, invece di essere intubato, viene solo assistito. Grazie all’incapacità di un medico “solo” 53 minuti dopo viene inserito un tubo che doveva servire a farlo respirare meglio… ma il tubo finisce nelle vie digerenti, ed oggi a cinque anni di distanza, il piccolo è in stato vegetativo per danni cerebrali permanenti.
Tripodi avrebbe anche causato l’aborto della sorella, che pur essendo affetta da una grave patologia, aveva scelto insieme al marito di portare a termine la gravidanza. “Vedi se puoi fargli cambiare quella flebo – ha detto Tripodi alla collega Mannuzio – Tipo con una scusa che non scende”. “Se non c’è tuo cognato… in un momento che non c’è… ma la notte non sta con lei?”, risponde la ginecologa. “Ma pure se c’è. Pure se c’è, tanto non capisce niente. Senza che ti vede nessuno, ehm, vedi come puoi fare, gli metti 2/3 fiale di Sint, gliela fai scendere a goccia lenta”. “In maniera tale che ‘morisce’, così si sbrigherà ed abortirà”.
E ancora… “Domani mattina la portiamo di là – assicura il medico al primario – Senza far vedere un cazzo, gli metto il Cervidil (si tratta di un ovulo che provoca l’aborto terapeutico) mentre la visito. Quindi lei inizierà ad avere contrazioni per 2-3 ore, le dico: non c’è niente da fare sta abortendo e allora ti dobbiamo aiutare. E la rendiamo partecipe del fatto. Io vengo già con l’ovulo dentro il guanto quando la visito, ho l’ovulo dentro il guanto e me la vedo io”.
Ma il feto non aveva nessuna malformazione come si apprende dalla conversazione successiva tra i due medici. “Un’oretta fa ha abortito; l’ho raschiata… apparentemente non mi sembra che abbia nulla, comunque… omissis… va boh… l’attaccatura un po’ bassa delle orecchie… omissis”. “Visibilmente non c’entra niente, che puoi vedere a 16 settimane, 17 quanto era… niente si può vedere… si deve prendere un pochino di tessuto…”.
“Allora chiudete questa cartella in un cassetto. Chiudila in un armadio intanto”. Un armadietto dei “miracoli” come spiega il gip Antonio Laganà. Infatti dopo essere stata chiusa in un cassetto la cartella clinica, tornava al suo posto senza l’ombra di un errore commesso… in modo da garantire ai medici una “reale e sicura via di fuga dall’impunità”.
Le risate e la fuga: “ho spento il cellulare”
Il primario interrogato ieri, in altre intercettazioni racconta, ancora ridendo, di essere scappato dall’ospedale con una scusa, quando al primario Vadalà è morto un neonato. Decide di spegnere il cellulare nel timore che Vadalà, potesse richiamarlo per farlo rientrare in reparto dopo il drammatico evento. Questa che segue è la conversazione di Tripodi con la moglie intercettata dalle forze dell’ordine su delega della magistratura:
TRIPODI: “ehi… eh niente, gli è morto un bambino quà… A Vadalà e alla Manuzio…. ho chiuso il cellulare apposta, cretina, perché sennò mi chiamava in continuazione Vadalà eh (ride)…”.
In un’altra conversazione, con Daniela Manuzio, anche lei finita ai domiciliari:
TRIPODI: minchia non sai che è successo, stanotte l’ira di Dio;
MANUZIO: eh? e di chi?;
TRIPODI: allora, quella lì, eh, di Timpano, che gli ha sfondato la vagina;
MANUZIO: eh;
TRIPODI: eh, allora, lo sai, ha la vescica aperta (e ride…);
MANUZIO: eh;
TRIPODI: allora dal drenaggio esce urina .. te la ricordi? Era oro…..mi ha chiamato Pina Gangemi…dottore vedete se potete venire che qua c’è l’ira di Dio…ride….ride che oggi……….2 litri di urina dal drenaggio (ride)…..in pratica…sono andato…. la vescica era aperta….l’hanno suturata in triplice stato…..”.