Nell’ambito della campagna “LasciateCIEntrare, una delegazione ha visitato il CAS, Centro di Accoglienza Straordinaria di via Todaro Quattromiglia di Rende.
RENDE (CS) – Hotel e alberghi in Comuni che ospitano i tanti migranti su decisione delle Prefetture; strutture che guadagnano 35 euro circa per ogni persone ospitata ma che poi non offrono un servizio di accoglienza adeguato. E’ la storia di inadempienze, clientelismo, speculazioni, mancanza di trasparenza e violazioni continue dei diritti dei migranti che viene raccontata dalle tante associazioni che si occupano della loro tutela, e che riscontrano oggettive problematiche di un’emergenza che è diventata la regola: quella in base alla quale le Prefetture rincorrono i privati e le cooperative “amiche” per la stipula di convenzioni deboli e standard inadeguati.
“E’ quanto denunciamo da anni – scrivono i rappresentanti delle associazioni aderenti alla campagna LasciateCIEntrare – ed è quanto vediamo nel corso delle nostre visite di monitoraggio nell’universo variegato dei C.A.S., dove capita che l’accoglienza ai richiedenti asilo sia affidata a una ditta di ristorazione o all’albergatore che in un periodo di crisi per il turismo italiano, ha intravisto nell’accoglienza ai migranti la possibilità di rimpolpare le proprie finanze; alla cooperativa che si occupa di tossicodipendenze o ad agenzie di formazione professionale. Sono centinaia i migranti che abbiamo incontrato dentro e fuori le mura dei centri, centinaia di occhi stanchi, di mani che abbiamo stretto, di storie atroci che abbiamo ascoltato”.
“Chissà come immaginava R. sarebbe stata la sua vita in Italia dopo essere sopravvissuto al naufragio di pochi mesi fa, quella notte in cui vide il corpo di suo fratello galleggiare tra le onde alte di un mare in tempesta? Quanta amarezza nel racconto di M., scampato a un incendio appiccato dai talebani nella scuola in cui insegnava. Voci e occhi spenti, T. ci racconta, invece, di essere sopravvissuta a un tentativo di essere bruciata viva. Immancabile, arriva la domanda: “Quali sono i nostri diritti in questo posto?”, “Perché nessuno si occupa di noi?”, “Perché quando stavo male nessuno mi ha portato dal dottore o perché nessuno mi ha dato medicinali quando avevo mal di denti?”.
Storie di abbandono e solitudine quelle che i migranti ospiti dei centri di accoglienza finora monitorati raccontano. E sono le stesse storie che hanno raccontato anche le persone incontrate lo scorso 25 giugno nel centro di accoglienza straordinaria nato pochi mesi fa all’interno della “Fattoria Stocchi”, hotel situato in via Todaro nel comune di Rende, nei pressi dell’uscita autostradale di Cosenza Nord a Quattromiglia dove si è recata più volte una delegazione composta da Emilia Corea, Luca Mannarino, Maurizio Alfano, Francesco Formisani, Flavia Lisotti, Marco Ascrizzi, Luana Ammendola, Francesco Cirino.
Emilia Corea, ha raccontato le condizioni riscontrate nel CAS di Rende ai microfoni di Rlb Radioattiva.
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Una parte dell’hotel, situato in pieno centro urbano a Rende, da qualche mese adibita a centro di accoglienza straordinaria nel quale vivono 20 persone, tutte richiedenti asilo proveniente dal Togo, dalla Nigeria, dalla Guinea, dall’Eritrea. Tra di loro due donne in stato di gravidanza avanzata.
Il racconto dei migranti
I gestori avrebbero in un primo momento vietato l’accesso alla delegazione di LasciateCIEntrare che però è riuscita ad incontrare e parlare con i migranti all’esterno della struttura. “Le condizioni di accoglienza – raccontano – sono pressoché identiche agli altri centri finora visitati. I ragazzi ci riferiscono che non esiste un mediatore culturale all’interno, né un servizio di assistenza legale e sanitaria adeguato. Le lamentele sono relative, soprattutto, al cibo scadente e insufficiente che viene loro somministrato: una caratteristica della maggior parte dei centri visitati finora riguarda, tra l’altro, il fatto che frutta e verdura siano completamente assenti dai vari menu”.
“Ci colpisce la presenza di un ragazzo piccolo ed emaciato, tanto da farci sospettare che si tratti di un minore ma che interpellato, continua a ripetere di essere maggiorenne. Ci racconta di essere arrivato in Italia la fine di maggio, dopo un periodo di soggiorno in Libia: all’interno di un carcere libico, per l’esattezza. E il solito campanello d’allarme comincia a suonare con insistenza nelle nostre orecchie. “Com’era la vita in carcere?” chiediamo. E’ un fiume in piena: ci racconta di essere stato picchiato tutti i giorni con pugni e manganelli. Ci mostra i segni delle bruciature sulla pelle. Ci mostra i segni della terribile falaka, una forma di tortura che consiste nel colpire le piante dei piedi della vittima con un oggetto duro che può essere una frusta, una verga od un oggetto simile. Il dolore inflitto dalla tortura sta soprattutto nel fatto che va a colpire molti tendini, nervi e piccole ossa presenti nel piede. Arrivato in Italia, è stato catapultato all’interno di uno dei tanti “incubatori di vulnerabilità” presenti sul territorio, un luogo dove nessuno degli operatori, presumibilmente, si è mai chiesto da cosa derivino i segni che molti richiedenti asilo si portano addosso rendendo, a volte, i loro corpi simili a delle carte geografiche. Né perché il ragazzino in questione balbetti in maniera evidente quando inizia a raccontare la sua vita, palesando di fatto un trauma psicologico, verosimilmente derivante dalle violenze alle quali è stato sottoposto. Vulnerabilità che si vanno ad aggiungere a vulnerabilità pregresse.
Per alcuni l’inferno è sulla terra
“Andiamo via dopo avere informato le persone in questione che esiste un posto a Cosenza in cui alcuni medici aiutano i sopravvissuti a tortura, a superare i traumi che ne derivano. Andiamo via, ancora una volta accompagnati dal senso di rabbia e di impotenza, accompagnati dalla consapevolezza che nessuno si prenderà cura di questo piccolo uomo che la vita ha costretto a crescere maledettamente in fretta”.
“Decidiamo di ritornare al C.A.S. in questione in data 4 agosto 2016. Ancora una volta gli operatori, o meglio, i receptionist dell’hotel, si rifiutano di riceverci in quanto – dicono – la responsabile della struttura è assente. Ci fermiamo, quindi, all’esterno del centro a chiacchierare con i migranti incuriositi dalla nostra presenza. La situazione presentataci appare, però, identica a quella della prima visita. Ci riferiscono di essere tuttora senza assistenza sanitaria e senza iscrizione al S.S.N.: una ragazza, arrivata da tre settimane, ancora priva del Modello C3, ci racconta di malori per i quali non è stata curata, né accompagnata da un dottore. Si lamentano della qualità del cibo e della mancanza di frutta e verdura. Veniamo interrotti all’improvviso dall’arrivo della responsabile del centro la quale, interpellata, ci assicura che la gestione del centro è ineccepibile: “Li tratto come se fossero miei figli” ci dice “alcuni di loro mi chiamano mamma”.
Ma a distanza di qualche giorno, arriva una telefonata che è una richiesta di aiuto: una donna “ospite” del centro ci chiede di accompagnarla dal medico. Ci riferisce di sentirsi male, di avvertire un dolore insistente al ventre, di avere mal di testa da diversi giorni. Le chiediamo come mai non abbia avvertito gli operatori o la responsabile del centro; ci risponde che non c’è nessun operatore, nessuno che si sia interessato del suo malessere. Il mattino successivo, in data 8 agosto – conclude la nota della delegazione – ci rechiamo nuovamente presso la struttura per verificare lo stato di salute della donna e per accompagnarla dal medico dell’ambulatorio medico “Senza Confini” per una visita generale. La prima, ci racconta la signora – conclude la nota – da quando è arrivata in Italia. Vite marchiate da ferite visibili e invisibili, persone, come lei, vittime della malaccoglienza Made in Italy, sulla cui pelle lucrano affaristi, trafficanti e impresari, con il beneplacito di prefettura e ministero. Benvenuti presso l’Hotel Residence Fattoria Stocchi”.
