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La solitudine incompresa degli anziani

Anziani opsizio abbandonati

A volte gli anziani si sentono abbandonati e la loro sofferenza si trasforma in solitudine. Ecco una lettera toccante per riflettere sulla loro situazione

ITALIA – “In gioventù le giornate sono brevi e gli anni sono lunghi; nella vecchiaia gli anni sono brevi e le giornate sono lunghe”. Così recitava un vecchio aforisma che ben si sposa con il pensiero di alcuni anziani che risiedono in case di riposo.

Le strutture residenziali socio-assistenziali per anziani oggi sono ritenute risposte insostituibili a una molteplicità di problemi quali: l’accrescimento di polipatologie cronico-degenerative nelle età avanzate; le limitate risposte terapeutiche in malattie cronico-invalidanti (ad esempio le malattie osteoarticolari, cardiopatie, cancro, diabete, malattie dementigene come la malattia di Alzheimer); gli impedimenti degli anziani soli a restare nella propria abitazione e le difficoltà delle famiglie a prenderne carico.

Ciò su cui però si discute poco è se queste risposte siano un efficace ed appropriato strumento di protezione e di miglioramento della qualità della vita per gli anziani in difficoltà e, ancor meno, se sono da loro gradite.

Si sa per gli anziani l’abitazione è una parte importante della loro quotidianità e con l’avanzare degli anni acquisisce sempre maggiore importanza. Fino a quando è possibile, la maggior parte delle persone in età avanzata vuole rimanere in casa propria.

Ancora di più, dati gli ultimi fatti di cronaca di maltrattamenti in case di riposo per anziani, il loro malessere interiore è giustificabile: si sentono, spesso, abbandonati e la loro sofferenza, a volte, si trasforma in solitudine profonda.

Lo stesso Papa Francesco tempo fa ha portato all’attenzione generale il tema: gli anziani e le case di riposo. A tal proposito ha dichiarato: “Abbandonare gli anziani in casa di riposo è un peccato mortale“. Certo, a volte, questa è la soluzione più appropriata proprio per la salute dell’anziano, ma si sottovaluta anche la sua fragilità e debolezza.

Pubblichiamo una lettera molto toccante di qualche tempo fa, scritta da un anziano, che induce alla riflessione e le parole non servono più per comprendere il loro stato d’animo.

“Quanti anni ho? Non lo so più, la mia memoria fa brutti scherzi ormai, qualcuno mi ha detto 88. Da quando sono stato male non riesco più a parlare, ma riesco ancora a pensare e scrivere. Da quando sono stato male i miei figli mi hanno ricoverato in questa struttura che chiamano casa di riposo: chissà perchè poi riposo, il riposo richiama alla serenità, dopo la stanchezza, dopo gli affanni, eppure quella stanchezza, quegli affanni, erano vita e ora c’è solo attesa, un’attesa senza speranze e senza gioia.

Qui, dove sono, dipendo da delle badanti e dai loro umori e qualcuna si innervosisce perchè deve cambiarmi il pannolone, o urla perchè non voglio bere l’acqua quasi tiepida che mi fanno ingurgitare.

Dicono che ho la demenza senile perchè non parlo e tengo spesso gli occhi chiusi. Eppure capisco, capisco lo stato di abbandono affettivo in cui versiamo. Siamo diventati improduttivi, anzi lo eravamo già quando siamo andati in pensione e si sa, nella società fondata sul mercato se non produci più sei fuori, fuori da tutto. Tra noi detenuti in case di riposo non ci parliamo, nemmeno quelli che hanno ancora voce. Pensare che un tempo i vecchi erano quelli che parlavano di più, li mettevano a capotavola, con tutta la famiglia riunita e i figli e i nipoti e tutti ascoltavano il grande vecchio quando raccontava loro della sua vita trascorsa, delle esperienze, dei consigli che la vita gli aveva insegnato.

Noi invece siamo tutti lì, sulle nostre carrozzine, in una saletta a guardare una televisione che parla da sola, senza pubblico e senza attenzione, la mattina in attesa del pranzo, il pomeriggio in attesa della cena e poi di nuovo così, giorno dopo giorno in attesa, in attesa di una fine che tarda a venire, come una liberazione per tutti, meno che per l’istituto che perde un cliente, anche se i clienti certamente non mancano.

Quando anche quel poco di memoria se ne andrà si spegnerà la luce e rimarranno solo le stanze semivuote e i corridoi bianchi di questa casa che nemmeno il sole riesce più a scaldare”.

La lettera è di qualche tempo fa, di un anziano che risiede in una casa di riposo sita al nord Italia

Foto di repertorio

 

 

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