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Omicidio Paffile, “strano che Carmela quella sera si trovasse fuori casa”

ris carabinieri

Imputato il marito Eugenio Barbieri. Secondo le dichiarazioni rese, i figli insieme alla madre, subirono negli anni la violenza del padre

 

BISIGNANO (CS) – Si torna in Corte d’Assise per riprendere il processo sulla morte di Carmela Paffile, la donna di 80 anni che la sera del 29 giugno 2014  fu trovata a terra in una pozza di sangue davanti la porta di casa in contrada Frassia, a Bisignano. Accanto il marito che la guardava, Eugenio Barbieri, imputato di omicidio.  Il processo è presieduto dal giudice Garofalo, a latere Granata. Nella scorsa udienza sono stati sentiti dalla Corte i due figli della vittima, Santo e Umile e la vicina di casa, che potrebbe rivelarsi una delle chiavi del processo.

Oggi è stato ascoltato Giuseppe Barbieri, un altro figlio dell’imputato. Quest’ultimo per 40 anni visse insieme alla madre e fu spettatore, secondo le dichiarazioni rese, di violenze del padre non solo sulla madre ma anche sui figli. Per colpa del padre Giuseppe finì in carcere accusato di minacce e lesioni contro il genitore anche se, di fatto, le denunce sarebbero state un arma a doppio taglio utilizzate dal padre contro i figli che difendevano la madre.

Un’udienza che ha visto salire sul banco dei testimoni anche il medico del 118 inviato dalla centrale operativa che rispose alla chiamata di soccorso, la moglie di Umile Barbieri, uno dei figli già sentiti dalla Corte e il maresciallo dei carabinieri che aprì l’attività investigativa.

Il medico del 118 ha descritto le fasi di soccorso «Un paziente che è stata intubata e soccorsa. Avevo chiesto informazioni al medico di guardia che era intervenuta sul posto e che asseriva che la signora Paffile apriva gli occhi. Poi quando sono arrivato io in realtà gli occhi non li muoveva più. C’erano tracce di sangue sul cuoio capelluto. c’era poca luce. ricordo che si trovava sotto un porticato. Non ho prestato attenzione alla disposizione delle tracce ematiche perchè ero concentrato sul paziente». alla domanda del pubblico ministero Greco se potesse dire che tipo di lesioni avesse la vittima il medico ha risposto che non poteva rispondere perchè poteva essere anche una caduta accidentale “sono compatibili con un trauma da caduta accidentale”. «Era una situazione critica, la signora non rispondeva, non era cosciente. Noi abbiamo proceduto ad intubarla. Abbiamo ascoltato il torace. C’era la ferita alla testa. addosso non aveva nulla». L’accusa ha elencato poi le ferite evidenziate dall’esame autoptico sul corpo della donna, dalle 4 alle 5 ferite tra cui due lesioni nella parte posteriore della testa, una ecchimosi facciale. Ma il medico secondo la sua esperienza punta sempre alla caduta accidentale «Secondo me possono essere ferite da ricondurre ad una caduta accidentale. La signora non mi sembra che fosse giovanissima. Per la nostra esperienza abbiamo trovato giovani con cadute banali in coma. La signora è stata trovata supina su un pianerottolo, per come l’abbiamo trovata le ferite da sfregamento ci possono essere state»

 

E’ stato poi il momento di sentire Giuseppe Barbieri, 48 anni, operaio, figlio della vittima e al contempo dell’imputato.

Descrive la sera dell’incidente. «Io mi trovavo a casa, con mia moglie e la piccola. Dopo le 19 eravamo a cena. Mi ha chiamato umile che stavano andando al mare. Ho detto “sì, ci penso io a mamma”. Ho chiamato a mamma: “Ti vengo a prendere a casa e stai con noi”. Ma mamma ha risposto “No, stasera no. Si è fatto pure tardi. Mi faccio la doccia e vado a letto. Vediamo domani”. Erano le 20 di sera, 20.30; siamo rimasti per la sera successiva.

Dopo le 21 mi chiama Umile “Papà sente mamma lamentarsi, forse è caduta”. Io sono corso, ho pensato fosse caduta in casa. Quando sono arrivato era lì in una pozza di sangue. Mio padre seduto là vicino, c’era pure la vicina di casa. C’erano le scale che andavano al piano di sopra, accanto al porticato e papà era seduto lì, a 4 metri. Papà abitava da parecchio a casa in via Frassia. Stava un po’ nella casa in paese e un po’ lì. Io non parlavo con papà, era un po’ che non avevamo rapporti. Quella sera ha iniziato a parlare e io gli ho detto “Stai zitto, non voglio sapere niente, non ci voglio parlare con te. Mo’ arriva l’ambulanza e vediamo”.

Papà non era sconvolto; lui la voce gentile con noi non l’ha mai avuta. Non era preoccupato più di tanto. Era seduto sulle scale ed era vestito normale». Ha descritto poi la posizione in cui si trovava la madre al momento del suo arrivo «Mia madre era coperta, aveva delle asciugamani addosso, delle coperte. Accanto a lei c’era la vicina, l’accarezzava. C’era molto sangue, mia madre era in una pozza di sangue. Poi è arrivata l’ambulanza e ci hanno fatto allontanare». Non ha saputo rispondere se tra il corpo della madre e quella pozza di sangue ci fossero altre tracce ematiche. Ha raccontato invece quello che gli aveva suggerito la vicina. «Perchè non li chiami (i carabinieri, ndc)? non si sa mai, magari tuo padre ha fatto qualche fesseria”.

Giuseppe Barile si ferma per un attimo dal continuare a parlare ed esclama: “Io spero tuttora che sia caduta”, “Onestamente io non lo so, continuo a sperare si tratti di una caduta“. Poi riprende il racconto: «Quella sera sono entrato in casa di mia madre. Era tutto in ordine, Non c’era nulla di strano». e sule abitudini di vita della madre: «Mangiava presto, poi se doveva stare seduta sotto il porticato se faceva caldo, ma se vedeva mio padre si chiudeva dentro casa. Questo da quando lui è tornato a vivere in via Frassia. Mia madre non aveva preso bene il fatto che mio padre fosse trasferito in via Frassia. Lui tornava a casa in campagna anche prima del giugno 2014 perchè aveva la terra e il magazzino; si recava spesso, come gli capitava»

I rapporti con i genitori

«Con mia madre i rapporti erano ottimi. Con mio padre tanto buoni non erano. Io ho vissuto 40 anni con mia madre e mi raccontava tutto. La trattava sempre male, la minacciava. L’ultima discussione con mio padre l’abbiamo avuta nel 2006. tornavo dal lavoro, in quel periodo lavoravo a Lamezia. Ho trovato mia madre dispiaciuta. Le ho chiesto cosa fosse successo. Mi ha raccontato che mio padre l’aveva rincorsa come un pazzo e si era dovuta chiudere dentro. Io sono salito da mio padre …o lui è sceso, non ricordo e gliel’ho detto “ma che combini, di nuovo hai iniziato?” e l’ho spinto ed è caduto ma si è rialzato. Poi sono andato ad un compleanno con la fidanzata e lui mi è andato a denunciare che lo avevo picchiato. Sono andato anche in carcere per questo. Da allora ho rotto i rapporti con mio padre, non gli ho mai rivolto la parola più».

Ha raccontato poi altri episodi di violenza del padre anche quando i figli erano minorenni. A 5 anni il padre gli diede un morso di cui porta ancora la cicatrice. «Di violenze ce n’erano spesso, per niente alzava le mani perchè era una cosa quotidiana. Nel 1984 – 85 mio padre ha rotto una gamba a mia madre tirandole un calcio e poi l’ha portata in ospedale dove era stata ingessata. Poi c’è stato l’episodio del 1988, quando mia madre è finita in coma. Io non c’ero, lavoravo. Mi pare le avesse tirato una spranga in testa. Io quando sono tornato era già in ospedale. Mi pare che a papà non l’hanno preso subito, non penso sia stato in galera. Un altro episodio di violenza risale ai miei 13 – 14 anni. Eravamo a letto e la mattina dovevamo alzarci per andare a lavorare. Ci ha preso con un bastone sotto le coperte. Io gli ho preso il bastone…dovevamo pure difenderci in qualche modo. Lui aveva promesso a mia madre di ritirare la denuncia e invece ho saputo che ero stato condannato in contumacia con il secondo processo»

Sull’abitazione di via Frassia «Non era contento che ci abitava mamma. Lui ci diceva che se toglievamo mamma ci dava la casa, ma io gli ho detto che non mi interessava la casa e il terreno. Una volta che mamma non avesse abitato più in quella casa io non sarei più andato». Racconta ancora, rispondendo alle varie domande che lui dal 29 giugno non ha mai visto il padre in ospedale “non so se si è informato della salute di mamma e non l’ho visto al funerale”

 

Il racconto della nuora di Carmela Paffile “Quella sera è stato strano trovarla fuori a quell’ora perchè non usciva più”

La cognata di Giuseppe, moglie di Umile Barbiere fa un resoconto sulla sera della disgrazia «Avevamo prenotato casa a amare, Villapiana, nella zona di Sibari. Siamo arrivati intorno alle 20.30 – 21. Lui doveva tornare a lavorare la mattina dopo ed era già andato a letto. Il telefono era poggiato sul comodino con la sveglia impostata. L’ho sentito squillare e non ho risposto. Poi visto che risquillava ho visto comparire sul telefono di mio marito il nome di mio suocero. ho risposto io perchè mio marito stava dormendo. “Dov’è umile? Qui c’è la mamma stesa a terra con la pancia gonfia, in un mare di sangue”. Sono corsa da mio marito a dirgli vedi cosa sta succedendo. Poi lui è corso».

Le paure di Carmela Paffile. «Nell’ultimo periodo, l’ultima settimana di giugno, due – tre giorni prima del fatto, lei è corsa dalla vicina di casa (quest’ultima abita tra la casa della Paffile e quella della nuora, ndc) verso le 18 – 19 di sera. voleva chiamata i carabinieri perchè mio suocero dal balcone piccolino di sopra le lanciava dei sassi. La vicina di casa mi chiamò e mi raccontò la vicenda. Io le dissi portamela qua che nel frattempo arriva mio marito. durante il percorso mia suocera disse alla vicina di non dirmi nulla perchè aveva paura della reazione dei figli, visto che il padre negli ultimi tempi li denunciava. Nel periodo in cui mio suocero abitava in contrada Frassia le faceva i dispetti, musica ad alto volume, rumori assordanti e poi mia suocera riceveva strane telefonate e lei era convinta che fosse lui. La chiamava appellandola con parolacce, io non l’ho mai sentito chiamare Carmela dalla sua bocca. Lui ce l’aveva con la moglie e con i figli. Pensava sempre e solo alle sue terre e diceva “anche se io faccio qualcosa  (comportamento violento)non andrò mai in carcere. Io gli dicevo sempre che queste cose, a casa, davanti ai figli non doveva dirle.

Quella sera è stato strano trovarla fuori a quell’ora perchè non usciva più. Mia suocera non era mai lasciata da sola. Quella sera volevamo portarla al mare per stare 15 giorni con noi. Non è voluta venire dicendo che sarebbe andata a casa dell’altro figlio. Prima che mio suocero si trasferisse in contrada Frassia, lei era sempre fuori di casa con la porta aperta. Da quando era tornato la porta di casa di mia suocera è rimasta sempre chiusa con la chiave infilata dentro. In genere i pochi panni che aveva lei li lavava subito e li andava a stendere al filo della porta. Invece da quando c’era mio suocero, dopo che passava mio marito dall’uscita del lavoro, intorno alle 20 o 21, si chiudeva in casa e non usciva più.

 

Le indagini dei carabinieri

In ultimo è stato escusso il maresciallo che all’epoca dei fatti prestava servizio presso la stazione di Bisignano e che si recò in contrada Frassia insieme al comandante per svolgere le prime indagini «inizialmente ricevemmo comunicazione dal posto fisso dell’ospedale in cui era stata ricoverata in rianimazione. Sapevamo dei trascorsi tra i coniugi e ci siamo recati sul posto per prendere contezza dei fatti. Dopo avere sentito le prime persone abbiamo richiesto l’ausilio del nucleo rilievi sul posto per redigere documentazione fotografica e planimetrica. abbiamo proceduto al rilievo di un secchio contenente tracce ematiche. Ma c’era ben poco perchè la sera stessa i familiari avevano pulito. Abbiamo poi proceduto su richiesta della Procura, a raccogliere la documentazione tra cui anche una misura restrittiva del Barbieri. Facemmo altre ispezioni e sopralluoghi nell’immobile posto sotto sequestro. Furono sequestrati un bastone, una pentola. Dopo la morte della signora emersero segni che riconducevano ad un oggetto con cui poteva essere stata aggredita e si cercavano corpi contundenti. Nella documentazione fotografica si evidenziarono dei segni su una colonna con tracce di capelli

Nel collegio difensivo gli avvocati Francesco Parise e Francesca Funari. I figli della vittima, costituitisi parte civile sono rappresentati dagli avvocati Linda Sena, Gianfranco Vetere e Federico Littera

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