Pazienti caduti a terra dalle barelle per l’incompetenza del personale che prega affinché non muoia. Il tutto mentre le ditte funebri accedevano alle cartelle cliniche dei moribondi per poi andare ad intimidirne i parenti per accaparrarsi il ‘lavoro’
LAMEZIA TERME (CZ) – E’ uno scenario inquietante quello che emerge dagli atti dell’operazione Quinta Bolgia che ha portato ieri a 24 arresti. I due gruppi criminali Putrino e Rocca legati alla cosca Iannazzo – Cannizzaro – Da Ponte erano, fino a poche ore fa, i ‘proprietari’ dell’Ospedale di Lamezia Terme. Un controllo totale dei clan sul nosocomio a danno della salute pubblica e dell’incolumità dei cittadini. Pazienti costretti a dover essere soccorsi da ambulanze fatiscenti a causa di appalti affidati con la collusione dei dirigenti dell’Asp alle aziende riconducibili alle due famiglie di ‘ndrangheta. Illegittime proroghe che hanno portato i Putrino a gestire (oltre alle agenzie funebri) anche le ambulanze grazie alla collusione dei dirigenti della sanità catanzarese in carica dal 2012 al 2017 Giuseppe Perri (già commissario straordinario e poi direttore generale sino all’agosto 2018), Giuseppe Pugliese (già direttore amministrativo sino all’ottobre 2017), Eliseo Ciccone (già responsabile Suem “118” ed ora destinato ad altro incarico), Giuseppe Luca Pagnotta e Francesco Serapide. A favorire i rapporti tra le cosche e i funzionari dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro sarebbero stati l’ex parlamentare Giuseppe Galati e l’ex consigliere comunale di Lamezia Terme Luigi Muraca. Colpita da un’interdittiva antimafia l’azienda è poi stata sostituita dal gruppo Rocca.
In un’intercettazione telefonica è chiara la dinamica della ‘caccia al moribondo’ da parte delle due agenzie di onoranze funebri. Si sente infatti un dipendente della ditta Putrino affermare: “questa mattina è successo un bordello eravamo seduti fuori e ci ha raccontato che xxxxx è entrato dentro ed è andato ai computer dentro il Pronto Soccorso, si è segnato alcuni nominativi e lo hanno visto perlopiù lo hanno anche visto uscire dalla stanza dei farmaci”. Alcuni immortalano la scena altri guardano sbigottiti. L’episodio non lascia indifferente il dirigente dell’Ospedale di Lamezia Terme che esasperato contatta un dirigente dell’Asp di Catanzaro denunciando i fatti. “Stanno succedendo cose antipatiche con i cassamortai – lamenta al telefono – stanno avendo una sfrontatezza indicibile. Ci sono persone che hanno registrato delle cose. Si stavano quasi picchiando (nel reparto di pneumologia ndr) per contendersi un malato. Quando i parenti sono arrivati là hanno trovato tutti i cassamortari e loro sono stati avvertiti dopo. In Medicina una dottoressa per entrare nel reparto ha dovuto aspettare un quarto d’ora poi è arrivato un cassamortaro con le chiavi ed ha aperto. Con le chiavi del reparto capito?”. I alcuni casi i dipendenti minacciavano i parenti per impedire che il ‘lavoro’ fosse affidato alla ‘concorrenza’. Senza alcuna sensibilità di sorta avrebbero vessato anche un padre distrutto dalla morte del giovane figlio che ne aveva commissionato le esequie ad una ditta non appartenente a nessuno dei due gruppi.
Accordi corruttivi a discapito dei pazienti a causa dei mezzi obsoleti come ambulanze senza freni, senza revisione, prive di apparecchi elettromedicali indispensabili come le bombole d’ossigeno o il defibrillatore. A peggiorare la situazione il personale assunto senza alcun titolo e ritenuto dagli investigatori totalmente inadeguato, incapace di usare le attrezzature mediche, inesperto, privo di professionalità e costretto a lavorare su turni di 12 ore spesso coprendo anche le carenze dei colleghi con doppi turni da 24 ore. “Speriamo che non muore perché se muore passiamo i guai” avrebbe invece affermato un dipendente dell’ambulanze riferendosi ad un paziente in codice rosso che era stato fatto cadere dalla barella arrivato in Pronto Soccorso a Lamezia Terme. Un ‘trattamento’ che riguardava adulti e bambini, senza alcuna distinzione. E che induce i lavoratori incompetenti a pregare, come documentato in più intercettazioni, al fine di invocare la salvezza dei malati presi in carico. Agghiacciante il caso di un neonato trasportato in una termoculla malfunzionante. Un apparecchio datato ed inefficiente di cui parla Italo Colombo in una conversazione telefonica. “Ma era intubato il bambino?”. Ridendo l’interlocutore risponde: “Questa volta preparati che casomai mi sa che arrestano pure a noi, a te no, ma a me sicuro. Tranquillo. Abbiamo cambiato la batteria. Fa schifo quella termoculla con i fili squagliati. Che Dio ce la mandi buona anche stasera”. A finire in manette però è stato proprio Colombo il quale per rassicurare il collega gli garantisce: “Io sono a casa che prego con il rosario”. La risposta fa rabbrividire: “Eh, prega, che serve sul serio”.
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