Cosenza
Coltivava marijuana, in Appello ridotta la pena da tre anni a sei mesi
Le piante si trovavano in un sentiero confinante con un terreno in uso ad un 47enne in cui allevava animali e si prendeva cura della terra
COSENZA – In primo grado, nel marzo del 2017, il 47enne difeso dall’avvocato Pasquale Naccarato fu condannato a tre anni di reclusione. Sentenza ribaltata in Appello nei giorni scorsi. Il giudice ha accolto le motivazioni addotte dalla difesa, derubricando il reato con una sentenza di condanna minima a sei mesi, pena sospesa. Ma il legale di fiducia fa sapere che ricorrerà in Cassazione.
I fatti risalgono al settembre del 2014 quando i carabinieri della Presila scoprirono una zona di campagna, defilata e disabitata. In mezzo ad un querceto, dissimulate nella boscaglia, furono rinvenute 10 piante di marijuana disposte su due file una a monte e l’altra a valle. I militari dell’Arma proseguirono nella ispezione delle baracche nei pressi del ritrovamento delle piante, all’interno delle quali il 47enne allevava maiali e galline. La perquisizione diede esito negativo. Furono estirpate le piante e da un’analisi effettuata dai laboratori Arpacal risultò un presunto ricavo di ben 353 dosi. Secondo gli investigatori dell’Arma che effettuarono appostamenti, registrarono una presenza assidua del 47enne che si intratteneva “dando da mangiare agli animali e prendendosi cura della terra“.
I carabinieri in sede di escussione illustrarono il luogo dove era ubicato il campo in cui furono scoperte le piante. “Avevano dovuto percorrere 20 metri in parallelo con i binari per giungere al terreno di cui aveva la disponibilità l’imputato e che era recintato da tre lati, avendo libera la sola parte retrostante. L’ingresso del terreno era chiuso da un cancello costruito con una rete metallica matrimoniale, chiusa da catena e lucchetto. Sotto il terreno vi era un querceto cui si accedeva tramite un sentiero, che partiva dal campo in uso al 47enne e solo dopo 80 metri era situata la prima fila di piante di marijuana. Poco più distante la seconda fila“. Per i carabinieri solo il 47enne poteva avere accesso al sentiero, ma di fatto quel sentiero non apparteneva al terreno dell’imputato, né lo videro addentrarsi durante il periodo di appostamento. La difesa durante l’udienza ha ripercorso le tappe investigative e il Giudice accogliendo il ricorso presentato ha derubricato il reato per lieve entità del fatto, rimettendo in libertà l’imputato




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