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Maladepurazione cosentina: vasche ‘magiche’ e dipendenti ‘fantasma’ (FOTO)

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L’impianto di Coda di Volpe, ancora sotto sequestro, pare non funzioni correttamente

 

RENDE (CS) – Le proteste dei lavoratori senza stipendio da tre mesi, hanno riacceso i riflettori sul depuratore di Coda di Volpe. L’impianto sotto sequestro dal febbraio 2018 è ancora, verosimilmente, fonte di contaminazione per i terreni e le acque del fiume Crati. Le vasche esistenti pare non riescano a funzionare in modo tale da garantire la depurazione dei reflui fognari dei 18 Comuni collettati, tra i quali appaiono anche i popolosi territori di Cosenza, Rende e Castrolibero. Un problema palesatosi già all’indomani del sequestro quando il famigerato ‘bypass generale’ che si ipotizza immetteva nel corso fluviale tutte le ‘acque nere’ senza alcun trattamento, è stato chiuso affinché l’azienda Ge. Ko. fosse costretta ad attivare il corretto procedimento di depurazione. I reflui fognari riempirono le vasche fino al limite allagando i terreni circostanti inondandoli di una melma fatta di feci, urine, ecc. Un fenomeno che sembrerebbe non essere superato, soprattutto nei periodi più piovosi. Nel frattempo la Ge. Ko., che per conto del Consorzio Vallecrati gestisce il depuratore di Coda di Volpe tra Rende e Montalto, continua a rivendicare lo sblocco dei 35 milioni di euro di fondi Cipe per ampliare l’impianto attraverso il project financing che si è aggiudicata.

 

 

LE VASCHE MAGICHE

Eppure ha già iniziato a costruire da almeno sei anni alzando il livello delle vasche, ampliandone quindi la volumetria e facendone comparire dal nulla una nuova. Un bel cerchio pieno di ‘acque nere’ visibile sia dal geoportale del Comune di Rende, sia dal satellite di Google Earth. Il tutto nonostante sia chiaro che la zona rientri in area a rischio esondazione, sottoposta a vincolo paesaggistico e caratterizzata da incoerenze catastali come emerge dalla cartografia comunale. Minacciando di mettere a repentaglio la salute pubblica del territorio Ge. Ko. sostiene di non avere più denaro a sufficienza per smaltire i fanghi, pagare l’elettricità e comprare i reagenti chimici per abbattere i batteri. La società che vanta un fatturato annuo di circa 60 milioni di euro, chiede al Comune di Cosenza di pagare i propri debiti pena lo stop di ogni attività. Per farlo, tiene in ‘ostaggio’ i lavoratori, non retribuendoli. Palazzo dei Bruzi dovrebbe versare al Consorzio Vallecrati circa 2 milioni e mezzo di euro per i servizi di depurazione. Una passività attraverso la quale la società tenta di far leva per ottenere i fondi per l’ammodernamento (un business che le consentirebbe di incassare oltre 200 milioni di euro in 15 anni) istigando, non pagandoli, i dipendenti ad incrociare le braccia con gravi conseguenze sulla depurazione cosentina caratterizzata già da forti ed endemiche criticità.

 

 

I DIPENDENTI FANTASMA

Nel ‘conto’ che Ge. Ko. presenta a Vallecrati e quindi ai suoi Comuni consorziati appare un monte ore irreale. Nell’organigramma 2017 della Ge. Ko. vi sono 33 dipendenti per i quali pretenderebbe la retribuzione. Di questi in realtà ne lavorano solo 22. Il dirigente indagato per reati ambientali Vincenzo Cerrone è stato licenziato insieme ad altri quattro lavoratori. Un altro dipendente è deceduto, due si sono dimessi e altri due sono andati in pensione. A ciò si aggiunga che il servizio di depurazione viene calcolato non sul totale dei metri cubi depurati, cioè in uscita, ma sul quantitativo di reflui contaminati in entrata che ammontano a circa 5.500 metri cubi orari. Le acque nere depurate, si ricorda, vengono sversate nel fiume Crati, raggiungono la diga di Tarsia per poi finire parte in mare, parte ad uso degli agricoltori per irrigare le colture della sibaritide.

 

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