Molto spesso sono i familiari a occuparsi in prima persona dell’assistenza di un malato di Alzheimer. Sono loro, i caregiver, l’altro volto”del fenomeno. Un’attività gravosa che per un calabrese su quattro (il 25%) ha l’impatto maggiore sul piano psicologico ed emotivo
.
COSENZA – In Italia sono 600.000 le persone che soffrono di Alzheimer e che si trovano a confrontarsi, ogni giorno, con un progressivo declino della memoria e delle capacità cognitive, fino all’impossibilità di portare a termine persino i compiti più semplici. Numeri importanti di un fenomeno che però ha anche un altro volto: quello dei familiari che, in molti casi, si fanno carico in prima persona dell’assistenza al loro parente. Un’attività spesso svolta in maniera informale, che per un abitante calabrese su quattro (25%) ha il suo impatto più forte, provante, e complesso da gestire, sulla sfera psicologica ed emotiva.
Lo rileva l’ultima ricerca dell’Osservatorio di Reale Mutua sul welfare1 che, in occasione del mese dell’Alzheimer, ha accesso un faro sui caregiver (colui che si prende cura) e su come i calabresi percepiscano l’assistenza da loro prestata, tra ruoli, difficoltà e bisogni di fronte alla patologia. Oltre agli impatti psicologici, il 20% menziona le ripercussioni sulle disponibilità economiche derivanti dai costi di cura e assistenza. Dati che trovano conferma in una ricerca Censis-Aima (Associazione italiana malattia di Alzheimer), che ha quantificato a livello nazionale i costi diretti dell’assistenza in oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie. Un costo annuo medio, per paziente, di oltre 70.000 euro, comprensivo dei costi a carico del SSN, di quelli che ricadono sulle famiglie e di quelli indiretti, come i mancati redditi da lavoro percepiti dai pazienti o gli oneri di assistenza dei caregiver. L’aspetto più difficile da gestire assistendo un familiare affetto da Alzheimer è il cambiamento irrevocabile nella persona e nella relazione (35%), seguito dalla sua regressione psichica (22%) e dal rischio che il paziente possa far male a se stesso o agli altri (13%).
Ma quali sono, nella percezione dei calabresi, i campanelli d’allarme del manifestarsi della malattia? I più caratteristici sono la dimenticanza dei nomi dei familiari (29%) e il disorientamento spazio-temporale, che si manifesta ad esempio con lo smarrirsi per strada (20%). Segue l’incapacità di svolgere azioni abituali (18%). Quali sono le realtà e i soggetti che i calabresi, in generale, percepiscono come più attivi sul fronte dell’Alzheimer? In primo luogo, i servizi del Sistema Sanitario Nazionale (36%). Seguono le strutture e le cliniche private (20%) e le associazioni nazionali o territoriali (11%). Quanto a specifiche attività sul territorio dedicate all’assistenza ai malati di Alzheimer, il 78% dei calabresi afferma di non conoscere progetti a riguardo. Per sostenere l’attività dei caregiver, il 47% dei calabresi opterebbe per attività presso centri diurni, Il 45% sceglierebbe servizi di assistenza domiciliare, magari integrati da attività dedicate durante il giorno (27%). Un calabrese su tre vede, inoltre, una soluzione efficace nella flessibilità oraria (33%), che permette di conciliare la cura del proprio caro con l’attività lavorativa, senza dovervi rinunciare. Per affrontare e gestire con efficacia gli impatti psicologici, il 67% dei calabresi si rivolgerebbe infine a uno psicologo o psicoterapeuta, magari ricorrendo ad associazioni dedicate. Un ulteriore 18% cercherebbe sostegno in famiglia.
