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Il saluto dell’avvocato D’Amico a Manzi Massaouda
COSENZA – Una toccante testimonianza d’affetto. E’ quella che ha scritto l’avvocato Adriano D’Amico, conosciuto a Cosenza e un pò
ovunque per quel suo impegno, a favore di chi non ha voce, per quella sua passione con cui si batte per far riconoscere la giustizia e i diritti a chi ha bisogno di una mano. La testimonianza d’affetto, toccante è quella che ha scritto per Mazni Massaouda, raccontando il dramma di una donna e di una madre. “Non me ne vorranno gli altri due disperati morti nel rogo di Via XXIV Maggio – inziia così la lettera del’avvocato D’Amico – ma con la sig.ra Mazni ho sempre avuto un rapporto speciale e quando ho saputo della tragedia ho pianto, come si piange per la perdita di una persona cara, di un congiunto. L’avevo vista l’ultima volta giovedì, era passata dallo sportello a salutarci, di ritorno dalla Tunisia, a raccontarci delle sue umane tragedie, sempre con il sorriso sulle labbra, sempre con la voglia, e la forza di ricominciare. Era particolarmente affezionata a noi (a me e ad Enza), insieme avevamo vinto una battaglia importante, non molto tempo fa; una battaglia che toccava tanti argomenti che troppo spesso usiamo nei dibattiti e nei convegni, ma che ci dimentichiamo di applicare nella realtà. La sig. Mazni, malata di tumore, aveva presentato domanda per ottenere l’indennità di accompagnamento. La commissione medica gli aveva riconosciuto l’emolumento ma l’INPS glielo aveva negato perché non aveva la carta di soggiorno. Una sentenza del Tribunale di Cosenza, storica per quello che mi riguarda, gli aveva restituito la dignità e ci aveva fatto sentire un po’ più liberi e più giusti, perché toccava diritti costituzionalmente garantiti, quello alla salute e quello che ci vede tutti uguali senza distinzione di sesso, razza, religione etc. La sig. Mazni con noi si sentiva uguale agli altri e con noi si sfogava e si raccontava. Il suo più che un dramma della disperazione è il dramma di una donna; di una madre, unico punto di riferimento per i suoi tre figli, unico argine al disagio che li aveva travolti, unica ancora di salvezza. Il fuoco di Via XXIV Maggio ha bruciato un esistenza difficile, ma sotto la cenere del suo corpo si nasconderà per sempre il dramma di una vita intera, di una vita passata nelle sale d’attesa dei consultori, tra i meandri del carcere, attaccata ai vetri ad ascoltare la disperazione dei suoi figli.Lei impersonava bene quelle figure del Popolo degli Abissi descritte da Jack London, ma la sua disperazione la viveva con grande dignità. Lo ha dimostrato giovedì, per l’ennesima volta, l’ultima purtroppo: dalla Tunisia aveva portato uno splendido scialle alla sua amica Enza e tante storie per noi. Mi raccontava di suo figlio e della sua voglia di riscatto, giocava con il mio cognome: “amico-d’amico”, sapeva che di noi si poteva fidare, sapeva che eravamo dalla sua parte, perché difendendo la sua parte, difendiamo quel poco che ancora è rimasto. La sig. Mazni non è morta solo perché si trovava in un non luogo. Da tempo, da quando realmente si era riusciti a fare qualcosa per lei, non viveva più per strada. Quella sera, però, costretta, è ritornata in quel posto ed ha ritrovato tanti suoi vecchi compagni, compagni di un viaggio senza ritorno. Aveva speso tutti i soldi della pensione in Tunisia, per l’affitto della casa di suo figlio Alì, per la spesa di qualche settimana; quel figlio espulso dall’Italia dopo essere stato assolto dal Giudice del Tribunale di Crotone con la storica sentenza che aveva ricondotto alla legittima difesa la sommossa dei migranti che avevano devastato il CIE. Le erano rimasti giusto i soldi per il ritorno in Italia, dove vivevano gli altri suoi due figli. Uno di loro in carcere. Quel maledetto venerdì aveva trovato qualche soldo per il biglietto del treno che l’avrebbe portata in carcere, dall’altro figlio, ci andava tutte le settimane; per pagarsi la pensione ci voleva ancora e non poteva permettersi di spendere i soldi di quella mattina per tornare nella sua casa, a Montalto, servivano a ben altro; né ha pensato di chiederli a noi, giovedì sera, la sua dignità non lo consentiva; allora si è fermata li, in Via XXIV Maggio, in quel posto a lei noto. Avrà passato la notte a sognare l’incontro con suo figlio del giorno dopo; avrà pensato alle cose che doveva dirgli per non farlo cadere nel buio della depressione; avrà sognato – conclude l’avvocato D’Amico nella sua missiva – i suoi occhi, di quando da piccolo lo teneva in braccio, ai momenti belli della sua vita: con questi sogni, con queste speranze, si è addormentata una donna, una madre. A due passi da quel non luogo, il frastuono, l’ipocrisia e le inutili polemiche post mortem di una città, Cosenza. Ti ringrazio per le cose che ci hai insegnato, per l’esempio che ci hai dato. Ti porteremo sempre nel nostro cuore”.



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