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Estorsioni a Cosenza, Lamanna dal carcere: “Un po’ d’esuberanza, niente di più”

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Estorsioni a Cosenza, Lamanna dal carcere: “Un po’ d’esuberanza, niente di più”

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daniele la manna

In videoconferenza dal penitenziario di Novara l’ex latitante ha reso dichiarazioni spontanee nel corso dell’udienza a suo carico. 

 

COSENZA – Racket e proiettili. Continua il processo a carico della cosca Rango – Abbruzzese sul business creato tra narcotraffico ed estorsioni. Dodici gli imputati che hanno scelto di essere giudicati con rito ordinario. Si tratta di Bruzzese Franco, Daniele Lamanna, Stefano Carolei, Gianluca Cinelli, Sharon Intrieri, Jenny Intrieri, Gianluca Marsico, Giovanni Fiore, Anna Abbruzzese, Francesco Vulcano e i gemelli Antonio e Alessio Chianello. Imputati chiamati a rispondere, a vario titolo, delle accuse di associazione a delinquere, spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsioni. Stamattina nel corso dell’udienza è stata fornita una dettagliata relazione sulla riorganizzazione dei clan a seguito del depotenziamento delle cosche Bruni e Serpa dopo le operazioni Telesis e Tela di Ragno a cui seguirono la morte per cause naturali di Michele Bruni e per omicidio di Luca Bruni. Dopo aver ricordato il patto federativo con il quale gli ‘italiani’ e gli ‘zingari’ si sono accordati per far confluire i proventi di spaccio, estorsioni e rapine all’interno di un’unica bacinella, è stato fatto notare come ai primi venga devoluto il 60% del ricavato e ai Rango – Abbruzzese il restante 40% degli utili. Denaro che serve per pagare ‘stipendi’ per chi è in attività e spese legali per i detenuti. Delineato dal maggiore dell’arma dei carabinieri Michele Borrelli l’organigramma del gruppo Rango – Abbruzzese al vertice del quale vi sarebbe Franco Bruzzese e Maurizio Rango diventato reggente dopo il suo arresto. I promotori del sodalizio vengono indicati in Antonio Abbruzzese alias Banana, Gennaro Presta, Luciano Impieri ed Ettore Sottile. Con un Bruzzese che intercettato nel carcere di Benevento confida al fratello Fiore: “questa è una cosa che abbiamo iniziato con Daniele e Maurizio”.

 

Tra i protagonisti della scena criminale cosentina, da quanto emerso dalle indagini, vi sarebbe anche Domenico Mignolo genero di Antonio Intrieri cui moglie Sharon Intrieri risulta insieme alla sorella Jenny imputata nel processo. Mignolo che dalle intercettazioni captate nel carcere di Cosenza si lamenta perchè il denaro che prima era gestito da Ettore Sottile, dopo l’arresto di quest’ultimo viene redistribuito tra gli affiliati da Leonardo Bevilacqua. Un uomo che pare non brillare per la puntualità nel liquidare gli affiliati del clan come dovrebbe. Gli animi si inaspriscono e ci scappa il morto: Antonio Taranto, il ventiseienne freddato per ‘sbaglio’ su via Popilia. Il denaro costituisce motivo di lamentele per Mignolo a cui il suocero ricorda che “Maurizio dice che sei il suo pupillo”. E lo dimostra. Dopo neanche mezz’ora dall’entrata nel penitenziario di via Popilia di Mignolo arrestato per le intimidazioni ai danni degli amministratori comunali di Marano Marchesato Rango è fuori dal carcere che urla. Il boss dal muro di cinta che costeggia la casa circondariale urla a squarciagola il suo nome: “Domenico”. A fargli compagnia c’è Danilo Bevilacqua il compagno della sorella di sua moglie Jenny Intrieri. La terza figlia dell’imprenditore accusato di estorsioni è invece fidanzata con un altro degli indagati Francesco Vivacqua. Un groviglio di legami familiari su cui Adolfo Foggetti ha poggiato le proprie basi. Dopo aver sposato Palmina Serpa infatti si accredita come ‘esclusivista’ nella zona del paolano catalizzando in sè il potere perso sul territorio sia dai Serpa sia dai Bruni. Arrestato invece si preoccupa di farsi ‘accreditare’ anche dalle forze dell’ordine e dichiaratosi collaboratore di giustizia dopo neanche 48 ore farà ritrovare il corpo di Luca Bruni seppellito tra le campagne di Orto Matera.

 

Oggetto del dibattimento di oggi anche un’estorsione consumata ai danni di un imprenditore cosentino. L’uomo, che non ha mai denunciato alle autorità di essere vittima di racket, è stato immortalato dalle intercettazioni ambientali captate dagli inquirenti che indagavano su una sparatoria avvenuta ai danni dell’esercizio di cui risulta essere il gestore. La presunta vittima infatti ha sempre negato di aver ricevuto richieste estorsive. Dalle risultanze investigative è però emerso che l’uomo dopo gli spari indirizzati alla propria attività avrebbe versato 16mila euro nelle mani del clan Rango – Zingari. Soldi che ha consegnato personalmente a Luciano Impieri come pare sia emerso dalle analisi dei sistemi di videosorveglianza. Soldi che sarebbero serviti “a mettersi a posto con gli amici e guarire il male inguaribile”. L’imprenditore audito nel Tribunale di Cosenza ha affermato che Daniele La Manna ”ha sempre pagato come qualsiasi altro cliente, con lui solo problemi legati a questioni di ‘parcheggio’. Voleva che gli liberassimo un posto per poter mettere la macchina perché erano tutte occupate da clienti. Gli ho detto però che non poteva fare così perchè dovevamo lavorare e lui mi ha detto che era “un piacere che voi lavorate. Dobbiamo lavorare tutti”. Tutto qua, non mi ha mai minacciato nè chiesto soldi. Dopo che ho pagato i primi 10mila euro ad Impieri non ho più avuto problemi di atti vandalici e furti”. Daniele La Manna che ha seguito l’udienza in videoconferenza (come Franco Bruzzese) dal carcere di Novara al termine dell’audizione del teste ha inteso fornire alcune dichiarazioni spontanee. Definendo Impieri e Perri ‘gentaglia’ l’ex latitante ha precisato che “sono persone che non frequentano casa mia dove venivano solo familiari e qualche volta degli amici. Non sapevo dove lasciare la macchina, succedeva spesso. Quella volta, sicuramente, lo ricordo ho reagito con un po’ di esuberanza. Ma è finito tutto lì. Non c’è niente di particolare”. E sulle parole di La Manna si è chiusa l’udienza che è stata aggiornata al prossimo 28 Aprile.
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