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Casi di suicidio sul Web, basta con i ‘falsi’ moralismi… “d’azione”

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Casi di suicidio sul Web, basta con i ‘falsi’ moralismi… “d’azione”

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In merito alle accuse mosse alla nostra redazione, dal Movimento Giornalisti d’Azione, relative alla modalità di “trattamento” di una notizia di suicidio, ci richiamiamo al codice deontologico dei giornalisti e alla libertà, dovere di informazione che questa redazione tratta con indubbio rispetto ed alto profilo morale.

 

COSENZA – Le sterili e in alcuni casi anche stucchevoli polemiche nei confronti della nostra linea editoriale, si richiamano ad un ciarpame sub giornalistico che non ha niente a che vedere con il lavoro che svolgiamo, almeno noi, quotidianamente con professionalità e grande senso di responsabilità. Fermo restando che la notizia di un suicidio è certamente una notizia e che l’informazione, nell’era del Web 2.0, cammina senza nessun tipo di filtro su blog e social network, arrivando sugli schermi delle persone con tanto di foto e video molto prima di un comune quotidiano on-line, la nostra testata non intende in alcun modo accettare “lezioni deontologiche†da chi si professa “esperto della comunicazione e del giornalismo calabrese†e che in realtà di comunicazione conosce ben poco, visto che è rimasto legato ad un modo di fare informazione datato, pubblico e privo di concretezza.

La realtà è che l’informazione negli ultimi 10 anni è cambiata. Se il giornalista non pubblica la notizia, lo farà certamente qualcun altro, smentendo quindi il falso moralismo di alcuni giornalisti che puntano il dito contro gli altri, oppure altri “signori†della penna che sono pagati per fare disinformazione. Chi arriva ad un gesto così estremo come il suicidio manda un chiaro messaggio di insofferenza, un messaggio che riteniamo in alcuni casi sia importante arrivi alle persone. Sulle accuse alle testate che, secondo il Movimento Giornalisti d’Azione, sono mosse da motivi commerciali, possiamo solo rispondere che non tutti i giornalisti, purtroppo, sono dipendenti pubblici, quindi (stra)pagati con il nostro lavoro quotidiano e per questo sono ancora liberi di decidere e scrivere ciò che gli pare.

Le accuse rivolte dal Movimento, dal suo presidente e dai giornalisti che ne appoggiano la linea (molti dei quali non esercitano la professione, altri che lo sostengono con un’ipocrisia che fa rabbrividire in termini di ‘etica’ e deontologia) sono chiaramente mirate a reprimere una libertà di stampa che non è mai andata oltre il consentito. Se Quicosenza.it infatti, ha pubblicato notizie di suicidi lo ha fatto dopo scrupolose riunioni di redazione e sempre dopo aver contattato le forze dell’ordine. Ma c’è chi preferisce fare della polemica il suo motto, senza soffermarsi sulle vere problematiche del giornalismo che sono ben altre, ma si ignorano consapevolmente.

Per non parlare poi di quelle testate che sono sempre in prima linea, pronte anche loro a puntare il dito con altrettanta ipocrisia, salvo poi nascondersi dietro giustificazioni alquanto improbabili, ma tutte con un unico obiettivo: “portare accessi al proprio portale”. Si, perché se si pubblica una notizia su un quotidiano on-line e poi si clicca sulla notizia, essa stessa non c’è. Ricordo infatti che una notizia per definirsi tale, deve rispondere a cinque domande fondamentali, altrimenti non ha motivo di chiamarsi notizia ed è semplicemente un modo subdolo per far cliccare un utente, che poi l’informazione non la trova. Siamo là… “chi è senza peccato scagli la prima pietraâ€.

Oppure vogliamo parlare de nuovi ‘blog d’informazione‘ (uno dal nome assai bizzarro) che ‘appoggiano’ il tutto ergendosi a paladini dell’etica morale, ma hanno i cassetti pieni di denunce, querele e sentenze di condanna per diffamazione. Blog rappresentati da giornalisti finiti (nel vero senso della parola) visto che dopo essere stati epurati dai vari quotidiani cartacei, tentano l’ultima disperata carta della scrittura su un blog on-line. Giornalisti ‘invitati’ dal politico di turno a distruggere questo o quel personaggio pubblico e che portano l’utenza sul proprio sito, pubblicando ‘presunte notizie’, molto spesso inventate o costruite ad arte riportando fatti ipotizzati che in realtà non solo altro che opinioni… “Qui ci scappa davvero da ridere”.

Abbiamo molto rispetto del dramma che vivono le famiglie, ma siamo altrettanto convinti che non dare una notizia non significa che questa non si verifichi più. E per questo motivo ci preme sottolineare alcuni aspetti che, in una terra come la Calabria, non dovremmo mai dimenticare. Il primo è legato alla mancanza o inadeguatezza di servizi sociali mirati (ricordiamo ai “colleghi” che l’80% dei comuni calabresi non dispone neanche di un assistente sociale o di sportelli di ascolto o counselling psicologico). In secondo luogo, la maggior parte dei suicidi scaturiscono da problematiche importanti, come il gioco d’azzardo, debiti, usura e strozzinaggio; inoltre,  rispetto al Nord dove il fenomeno è monitorato, qui non ci sono presidi psicologici negli istituti scolastici ai quali gli adolescenti possono rivolgersi in caso di malessere esistenziale di qualsiasi tipo, compreso il bullismo e il cyberbullismo vera piaga giovanile degli ultimi anni. Lavoriamo su questo? Anche, magari. Noi abbiamo, con diversi articoli, dato informazioni anche su queste carenze. Per non parlare dei casi di suicidio nelle carceri troppo spesso ignorati. Perché qualcuno pensa che la vita di un personaggio pubblico sia più ‘notiziabile’ (notiziabilità = l’attitudine di un evento a essere trasformato in notizia) di quella di un detenuto o di una persona normale.

“Le norme deontologiche indicano chiaramente le cautele con cui devono essere esposti questi casi per non provocare dei fenomeni di emulazione: ci sono dati dell’Organizzazione mondiale della sanità che dimostrano in modo chiaro che parlare dei suicidi fa aumentare il numero delle persone che decidono di togliersi la vita. E raccomandano anche la necessità di tenere al riparo da un’inutile e crudele pubblicità i familiari e i parenti già provati da un così forte dolore”. Su questo punto è quasi come affermare che se l’organizzazione mondiale della sanità stabilisce che mangiare il pollo fa venire il cancro, allora, nessuno di noi mangerebbe più pollo. O peggio, se i giornalisti non scrivessero più di casi di femminicidio forse gli uomini non ucciderebbero più? Magari fosse così, e questo vale per tutto il resto…. Il concetto fondamentale è questo, e non torneremo più sull’argomento: il nostro obiettivo non è certamente quello di scrivere di un suicidio per fomentare l’emulazione, ma per far emergere un dramma sociale che è più esteso di quanto si pensi, e di sollecitare al contempo le istituzioni a rendersi conto di un’escalation del fenomeno, che necessita di interventi mirati.

Ritenete indegna una notizia di suicidio? Non cliccatela, ma siate coerenti e fate lo stesso con la TV.

 
La redazione tutta di Quicosenza.it

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