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Manda sms di insulti alla ex, lei non lo blocca: trentenne assolto

Calabria

Manda sms di insulti alla ex, lei non lo blocca: trentenne assolto

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Per la Cassazione non c’è reato. Il ragazzo avrebbe agito in modo ”ingenuo e maldestro” per riconquistare la sua ex fidanzata

 

ROMA – Sentenza su un caso molestie in Calabria definisce quanti messaggi si possono inviare al proprio ex senza incorrere nel reato. Se l’altro non stoppa la comunicazione, attivando il blocco sul proprio telefono è difficile capire quando il troppo è troppo, e questo può evitare una condanna. E’ stato così per un trentenne di Catanzaro, assolto dalla Cassazione dall’accusa di molestie “perché il fatto non costituisce reato”. Dopo la fine della storia con la ex, non aveva interrotto la comunicazione, come chiesto invece da lei e ogni tanto si faceva vivo con un sms: 15 in due mesi e mezzo, un paio anche dal contenuto offensivo. Per questo era stato condannato a una multa per il reato di “molestia o disturbo alle persone”, previsto dall’articolo 660 del codice penale. Secondo la difesa dell’uomo che ha presentato ricorso in Cassazione, nel suo comportamento non vi era alcun motivo “biasimevole”, come prescrive la legge, semmai lo sforzo di riconciliazione lo aveva portato ad agire in modo “ingenuo e maldestro”.

 

 

Il numero dei messaggi, poi, non era tale da poterlo considerare molesto e petulante: il ragazzo, è la scusante al suo agire, fa parte di una generazione che ha mutato il modo di intendere “la misura delle comunicazioni” e con quel comportamento non poteva “turbare o ledere la sfera della persona offesa”. Una spiegazione che ha convinto anche i giudici. La Cassazione ricorda che il reato di molestie contempla una condotta che non solo interferisca con la quiete altrui, ma che si caratterizzi per “petulanza o altro biasimevole motivo”: significa che va punito il comportamento “intollerabile e incivile verso la persona molestata” e “il modo di agire arrogante o vessatorio, privo di riguardo per la libertà o la quiete altrui”, è richiesta inoltre la volontarietà della condotta.

 

 

Nel caso di questa coppia (sentenza n. 18216 della prima penale) invece la suprema Corte non ravvisa il dolo. “Assume certamente rilievo – secondo i giudici – il fatto oggettivo evidenziato dalla difesa dell’imputato che sul telefono della persona offesa non sia stato attivato il blocco“. E il tribunale non ha riscontrato “il dolo di petulanza dei messaggi, ma solo i tratti della possibile molestia degli stessi”: la storia era finita per decisione unilaterale di lei e i 15 messaggi “esprimevano essenzialmente amarezza provocata dalla interruzione del rapporto, gelosia e volontà di incontrare di nuovo l’ex fidanzata per riallacciare la relazione”. Ma dalle motivazioni della sentenza non vi è modo di ravvisare “il tipico atteggiamento psicologico inerente alla petulanza del comportamento” nei confronti dell’altro “fino al punto di determinarlo ad invocare aiuto”.

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