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Il pentito e la bomboletta … mortale
COSENZA – Risolto il giallo di Busto Arsizio. Dopo quasi un anno di indagini, accertamenti investigativi, esami irripetibili e certezze
medico legali, la procura della Repubblica di Busto Arsizio, ha classificato la morte sospetta di Giampiero Converso, pentito di ‘ndrangheta ed ex azionista delle potenti cosche del Coriglianese, come un incidente. La storia del suo decesso, racconta che il 22 giugno di un anno fa, Converso, detenuto nel carcere meneghino, venne ritrovato riverso nella sua cella. Gli agenti della polizia penitenziaria, fecero scattare immediatamente l’allarme, allertando i soccorsi e disponendo i protocolli di emergenza in situazioni del genere. I medici del penitenziario non notarono nessun segno di violenza sul cadavere del pentito 45enne, escludendo subito le ipotesi di un omicidio o di un suicidio. Il magistrato, come da prassi, dispose il sequestro della salma e incaricò gli anatomopatologi di fiducia della Procura ad effettuare l’esame autoptico. Gli effetti dell’autopsia, riveleranno, in seguito che il decesso del 45enne è stato determinato dall’inalazione del gas di una bomboletta per cucinare. Ma non si è trattato, però, di un’inalazione volontaria. Lo accerteranno gli stessi medici, gli agenti in servizio nel penitenziario e gli psicologi di supporto ai detenuti che, ascoltati dagli inquirenti, riferiranno che l’ex ‘ndranghetista non manifestava i segni tangibili di un aspirante suicida, nè evidenziava i classici “disagi” di una prostrazione psichiatrica. Gli anatomapatologi e il magistrato, titolare dell’inchiesta, hanno, nell’atto di conclusione delle indagini e nella classificazione del decesso come “incidente”, evidenziato come è prassi consolidata all’interno dei penitenziaria, da parte dei detenuti, inalare il gas, come forma di sballo mentale, quanto, come e più degli stupefacenti.
IL PENTITO – Giampiero Converso, ex “picciotto” arruolato alla fine degli anni ’80 dal clan un tempo guidato da Santo Carelli. “Sono stato battezzato nel 1989 – rivela – e portavo in copiata Santo Carelli”. Giampiero Converso ha cominciato a collaborare con la giustizia il 22 settembre del 2004 – questa la data del primo verbale contenente le sue dichiarazioni contro i suoi ex sodali di malavita – mentre si trovava detenuto in carcere. Spiega d’essersi pentito perché temeva d’essere assassinato. “Lo capii da una serie di sguardi e poi fu Arcangelo Conocchia (altro imputato di “Santa Tecla”) a dirmi, mentre eravamo detenuti insieme, di stare attento, di non accettare passaggi in auto e di non andare ad appuntamenti… Successivamente, quando venni rimesso in libertà, appresi che era partita da due boss detenuti nel carcere di Siano a Catanzaro l’imbasciata di farmi fuori”.
IL CASO – Arcangelo Badolati, caposervizi della Gazzetta del Sud di Cosenza, nonchè profondo conoscitore del “pianeta ‘ndrangheta”, sul quale ha scritto tanti ed apprezzati libri, lega la fine di Giampiero Converso a quella di altri detenuti cosentini. Nel tardo pomeriggio di sabato due giugno 2007, all’interno del supercarcere de L’Aquila, s’impiccò ill quarantaseienne Carmelo Chirillo, “uomo di rispetto” di Paterno Calabro. L’undici agosto del 2010 s’uccise, invece, nella sua cella del carcere di Rebibbia, Riccardo “Cesarino” Greco all’epoca imputato di un omicidio commesso a Cosenza. Il 18 dicembre del 2010, si tolse infine la vita nel supercarcere dell’Aquila, un altro coriglianese: si chiamava Pietro Salvatore Mollo. S’impiccò nella cella dove era recluso in regime di 41 bis, adoperando i lacci della tuta da ginnastica.



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