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Clan dei nomadi, ‘Timpone Rosso’ si chiude con 5 ergastoli
COSENZA – Concluso il ‘maxiprocesso’ al clan dei nomadi.
Diciannove condanne, sei assoluzioni e cinque ergastoli. Questo il bilancio della sentenza letta in Corte d’Assise dalla presidente Antonia Gallo nella serata di ieri in un’aula affollatissima, ma silenziosa. Nomi e numeri che hanno fatto fibrillare i cuori dei boss dello Jonio soprattutto nel rimbombare dell’eco della parola ergastolo: il massimo della pena prevista dell’ordinamento giuridico italiano. Carcere a vita per Nicola Acri, di Rossano; Franco Abbruzzese, detto “u pirolu”; Franco Abbruzzese, alias “dentuzzo”, di Cassano; Ciro Nigro e Damiano Pepe di Corigliano. Attenuanti generiche prive dell’aggravante dell’associazione mafiosa per Celestino Abbruzzese, ‘patriarca’ dell’omonima famiglia, condannato a 24 anni di reclusione, Fiore Abbruzzese, Fioravante Abbruzzese, Armando Abbruzzese, Giovanni Abbruzzese, Mario Bevilacqua e Rocco Antonio Donadio tutti cassanesi e condannati a 25 anni. Ben ventotto anni di detenzione sono stati invece comminati a Maurizio Barilari, di Corigliano per il quale il pm aveva inizialmente chiesto la detenzione a vita. Assolti da ogni accusa invece il 38enne Antonio Abbruzzese, Luigi Abbruzzese, Domenico Madio, Antonio Abbruzzese (classe ‘70) tutti di Cassano; Fioravante Bevilacqua e Domenico Bruzzese di Cosenza. Il nome dell’operazione come noto prese il nome dal quartiere enclave del clan, luogo in cui, grazie al presidio degli abitanti, le forze dell’ordine non riuscirono mai a collocare né cimici, né telecamere. La cosca fu smantellata nel luglio 2009 a seguito di una lunga indagine sulle comunità nomadi di Cosenza e Cassano condotte con l’ausilio del collaboratore di giustizia Pasquale Perciaccante, l’ex sicario della consorteria che compì il salto della staccionata schierandosi con la ‘giustizia’. Il clan, secondo i rilievi della direzione distrettuale antimafia, avrebbe, negli anni, imposto il proprio predominio attraverso una serie di esecuzioni esemplari. A perire fu, nel maggio del 2001, anche Giorgio Cimino, padre dei pentiti Antonio e Giovanni Cimino. Tra i pentiti, con la sentenza emessa ieri sera sono stati condannati Carmine Alfano e Vincenzo Curato, rispettivamente a 10 e 14 anni di reclusione. Degli omicidi consumati a partire dall’inizio del 2009 viene ricordato quello di Gianfranco Iannuzzi, scomparso per lupara bianca a Cosenza il 16 aprile del 2001 e ritrovato cadavere nelle campagne cassanesi grazie alle confessioni del pentito Pasquale Perciaccante detto ‘Cataruozzolo’. La sua collaborazione infatti oltre a consentire l’interpretazione di costumi, simbolismi, riti e gerarchie del mondo Rom i moventi di alcuni omicidi, come quello del Iannuzzi trucidato a seguito della scelta collaborativa dell’ex boss della criminalità nomade cosentina Franco Bevilacqua con il quale avrebbe compiuto nel 2000 la strage di via Popilia. Grazie alla collaborazione tra Cosenza e Cassano la cosca dei nomadi avrebbe fatto il salto di qualità passando da piccoli crimini ed estorsioni alla leadership nel mondo del narcotraffico.



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