COSENZA – Due luglio 2014, sono passati dieci anni da quando il piccolo Giancarlo Esposito, un bambino di soli 4 anni, è morto annegato all’interno della piscina Campagnano, nel cosiddetto programma “Kindergarden”, a Cosenza. Una morte che, ancora a distanza di anni, resta indelebile nei ricordi dei cosentini. Un dolore che non ha rassegnazione. Quel maledetto 2 luglio, un afoso venerdì, era per il piccolo Giancarlo il primo giorno al Kinder Garden. Dopo alcune attività all’aperto, i piccoli erano stati portati in piscina e dopo poco Giancarlo galleggiava in acqua senza vita.
Pochi giorni fa la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado. Assolti tutti gli imputati per la morte di Giancarlo. A processo erano finiti Carmine Manna (legale rappresentante della società), e le educatrici Franca Manna, Luana Coscarello, Martina Gallo e Ilaria Bove che quella mattina erano a lavoro quando il piccolo Esposito fece ingresso nel Kinder Garden, la struttura di Campagnano dedicata ai più piccoli.
La testimonianza di mamma Alessandra commosse l’aula
Indimenticabile la deposizione, al Tribunale di Cosenza, della mamma e del papà di Giancarlo, Alessandra e Domenico. Quella della mamma fu una ricostruzione straziante che toccò nel profondo l’animo dei presenti in aula. Non certo perché la testimonianza di un padre sia meno importante ma la mamma – si sa – è sempre la mamma e sentire, da Alessandra, ciò che ha visto e provato il giorno in cui ha dovuto dire addio al suo piccolo, avvicinò più che mai i presenti alla sua profonda sofferenza.
“Mi hanno telefonato dicendomi che il bambino stava male e di correre in ospedale. Ho fatto più veloce possibile – raccontò Alessandra alla Corte -. Non mi facevano entrare nella stanza del pronto soccorso, ma vedevo tutti piangere e sentivo dire che aveva bevuto acqua. Quando sono riuscita a vederlo per qualche minuto Giancarlo era cianotico”. Poi lo shock, l’incredulità e la rassegnazione che nulla si poteva più fare per salvarlo. Mamma e papà Esposito hanno cambiato persino casa – così come raccontò Alessandra – perché il ricordo era dilaniante. “Non riuscivo a vedere le sue cose in giro per casa, come il suo pigiamino. Mi chiedo sempre se in quel momento avesse avuto bisogno di noi“.