COSENZA – Dieci persone uccise da un’improvvisa valanga di fango. Intrappolate nelle Gole del Raganello, sul versante calabrese del Pollino, da un muro di acqua e detriti non hanno avuto scampo. Il 20 agosto del 2018 si è trasformato in pochi minuti in un incubo per guide, escursionisti e vacanzieri che affollavano il magnifico canyon travolti dalla piena del fiume seguita a un violento temporale. “Una giornata che ha segnato la mia vita” afferma Pasquale Gagliardi medico in forze al servizio di elisoccorso. Sono ancora impresse nella sua memoria quelle ore concitate e le immagini della tragedia in cui morirono: Antonio De Rasis, 32 anni; Maria Immacolata Marrazzo, 43 anni; Carlo Maurici, 35 anni; Valentina Venditti, 34 anni; Myriam Mezzolla, 27 anni; Claudia Giampietro, 31 anni; Gianfranco Fumarola, 44 anni; Paola Romagnoli, 55 anni; Carmen Tammaro, 41 anni e Antonio Santopaolo di 44 anni.
La tragedia del Raganello
“Siamo arrivati sul posto convinti che fosse un soccorso banale, – racconta Gagliardi – l’impatto con la realtà è stato traumatico. C’erano cadaveri che galleggiavano nel fiume, gente che gridava, urla disperate di aiuto. Mi sono reso subito conto della gravità della situazione. Ho avvisato immediatamente la Centrale Operativa di Cosenza affinché attivasse la maxi emergenza. È stato tutto molto veloce e concitato, non c’era tempo da perdere. Bisognava fare alla svelta per salvare quelle persone. Un altro elicottero è poi venuto a supportarci, abbiamo fatto su e giù dall’Ospedale di Cosenza: per ore abbiamo trasportato i pazienti dal fiume al Pronto Soccorso dell’Annunziata. L’inondazione aveva smosso tutto, c’era terra e acqua ghiacciata che continuavano a scorrere. Era abbastanza complicato lavorare in quelle condizioni.”.
Il salvataggio della bambina
“Sono stato il primo a vedere la bambina di 8 anni in acqua attaccata al padre ormai privo di vita. Era al suo fianco con la testa fracassata. L’aveva protetta da questa montagna d’acqua che li ha scaraventati per 2 chilometri giù oltre le gole. Per raggiungerla – spiega il dottor Gagliardi – abbiamo usato una tecnica particolare, consiste di fatto nel lanciarsi mentre l’elicottero è ancora in volo sospeso in aria ad un metro/un metro e mezzo d’altezza dai pazienti da soccorrere. Sono saltato in acqua con il fiume in piena. Un operatore della Protezione Civile aveva preso in braccio la bimba. Aveva le vie aeree piene di fango con argilla per cui era difficile da intubare e rianimare, in più doveva essere ricoverata d’urgenza a Roma. Serviva pulire le vie respiratorie, cosa che è stata fatta, perché l’argilla tende poi a calcificare sugli alveoli polmonari quindi diventa come una mattonella e si muore. Siamo stati tempestivi e lo abbiamo scongiurato. Siamo atterrati a Cosenza l’abbiamo affidata alle cure dei sanitari dell’Annunziata e abbiamo preso i teli per riscaldare la gente rimasta sul Raganello perché erano tutti in ipotermia. Siamo tornati e abbiamo prelevato un’altra ragazza e poi un’altra ancora. È stata una giornata estremamente dura, dovevamo essere veloci, ma estremamente attenti, per riuscire a salvarle”.
La macchina dei soccorsi
“Eravamo coordinati in maniera efficace. Abbiamo fatto – chiarisce Gagliardi – più di quanto fosse possibile durante i soccorsi è stato dato il massimo delle nostre energie e competenze. L’ospedale di Roma dove sono stati trasferiti i pazienti più critici ci hanno fatto i complimenti per come erano stati trattati e rianimati. Anche il quotidiano francese Le Figaro ha parlato dell’efficacia del nostro intervento in cui dovevamo contemporaneamente gestire l’ipotermia, liberare le vie respiratorie e cercare di farli arrivare a Roma in tempo utile per scongiurare la solidificazione dell’argilla nei polmoni. Quando è calato il buio i feriti più gravi erano stati stabilizzati e ricoverati. Eravamo riusciti a far sopravvivere tutti i pazienti soccorsi. Nonostante ciò pensare a quei momenti è sempre grande una sofferenza”.