Dal mondo
Studioso iraniano a Cosenza rivela: ‘Scontro tra sciiti-sunniti è alimentato da altro’
Mohammad Ali Amir-Moezzi parla di “interessi finanziari esterni” nel fomentare conflitti nel mondo islamico.
COSENZA – Tensioni alimentate dall’alto. “Lo scontro tra sciiti e sunniti è incoraggiato dalla politica, anche internazionale. E’ come un fuoco che cova sotto le ceneri, chi le agita per ravvivare la fiamma?”. A parlare è l’iraniano Mohammad Ali Amir-Moezzi, ordinario di studi islamici all’Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, a Cosenza venerdì sera per ritirare al Teatro Rendano il Premio Cultura Mediterranea della Fondazione Carical. I musulmani per il professore persiano vivono ancora sotto conflitto “come se si fosse ancora ai tempi della strage di Kerbala” quel massacro cioè avvenuto nel 680 d.C. nell’attuale Iraq, dove l’Imam Hussein, nipote di Maometto, fu ucciso con i suoi seguaci dalle truppe del Califfo Yazid. Un “martirio” cui si fa risalire la frattura tra sunniti e sciiti e che questi ultimi ricordano ogni anno con i luttuosi, penitenziali e spettacolari riti dell’Ashura. La causa dello scontro interno al mondo islamico tra sciiti e sunniti è però per lo studioso da attribuire anche ad “interessi finanziari esterni. Dopo il crollo del comunismo – osserva Mohammad Ali Amir-Moezzi – bisognava creare un altro nemico. E dunque, in questo scontro dagli esiti sanguinosi, la fede dei credenti viene strumentalizzata per altri fini”.
Al tempo stesso la percezione del martirio di Hussein “come se Kerbala fosse ancora oggi”, si riflette sulle comunità sciite minoranze da sempre oppresse dalle maggioranze sunnite. E d’altra parte “oppressi gli sciiti lo restano tuttora – sottolinea il docente iraniano – visto che sono le principali vittime degli attacchi terroristici nei Paesi islamici, proprio come nella strage di oggi a Baghdad che ha subito per anni il torchio del rais sunnita Saddam Hussein. Una condizione cui ora corrisponde la retorica della difesa degli oppressi cui l’Iran ricorre per giustificare interventi e alleanze in politica estera”. Ma il nodo dello scontro tra sciiti e sunniti sta nell’islam politico, che lo studioso iraniano contrappone allo “spiritualismo” religioso che, dice, esiste non solo tra i primi ma anche tra i secondi. Vi è tuttavia “è una differenza tra l’islam politico sciita e quello sunnita – aggiunge – perché quello sciita è fondato sul razionalismo, e ci puoi discutere. Con quello sunnita non lo puoi fare e da ciò derivano fenomeni come l’Isis e i talebani“.
E’ dunque nel “letteralismo” che sta l’insidia, spiega, perché la violenza è presente nei testi dell’Islam come nel Vecchio Testamento. “Fermarsi ad una lettura letterale è pericoloso – sottolinea – occorre creare una distanza con l’interpretazione, come ha fatto la tradizione ebraica”. E proprio nell’interpretazione e nell’ ‘ermeneutica’ si trova a suo avviso la natura stessa dello sciismo, rispetto alla quale l’islam politico è stato invece un elemento di “rottura”. Nelle origini dello sciismo ‘duodecimano’ praticato in Iran, evidenzia lo studioso, vi è il principio che l’unico ad avere il potere politico è il dodicesimo imam “nascosto”, e dunque detenere il potere prima del suo ritorno “è ingiusto”. Un principio che lo studioso contrappone al pensiero del fondatore della Repubblica islamica Khomeini, che affida invece il potere alla Guida suprema, secondo il principio del ‘velayat-e faqih’ (il governo del giureconsulto). Ma ormai a Qom, la capitale iraniana del pensiero teologico sciita, il pensiero di Khomeini “è diventato una corrente minoritaria”, conclude, anche se è quella che sostiene il potere nella Repubblica islamica.










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