COSENZA – “I genitori muniti di carta d’identità e tessera sanitaria potranno effettuare la registrazione del nascituro dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 12.30 presso l’apposito ufficio situato al primo piano”. Destini s’incrociano lungo il corridoio del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Annunziata. La direzione del bagaglio a mano segna la differenza tra l’attesa e il sollievo. In fondo, si leva il vagito di un neonato. Ogni anno in quest’ospedale s’affacciano alla vita in media duemila bambini. Erika D’Agostino fa l’ostetrica e ha trent’anni. Come ogni giovedì pomeriggio scende due rampe di scale e raggiunge il piano terra dove, al posto di un vecchio blocco operatorio, è stato allestito un prolungamento del reparto di Ginecologia. Era settembre o giù di lì. “Troppo a lungo felicità e dolore avevano convissuto negli stessi spazi. Non potevamo più sopportare che continuasse a succedere”. Il direttore Michele Morelli prende fiato dopo un’emergenza appena gestita in sala operatoria: “Abbiamo riservato i nuovi locali alle pazienti che interrompono la gravidanza, rimaste fino a quel momento involontarie spettatrici della gioia altrui”.
L’arredamento è essenziale, la privacy finalmente garantita. Le camere destinate alla degenza hanno il nome di un fiore: le margherite stanno vicino alle viole. In programma ci sono due interruzioni di gravidanza chirurgiche e una farmacologica. Nel frattempo quei fiori probabilmente appassiranno. Erika si assicura che non manchi niente e mentre sostituisce la traversina di un letto confida: “Delle ventisei ostetriche che prestano servizio in reparto, ventiquattro hanno dichiarato obiezione di coscienza e così siamo rimaste soltanto in due. Se una di noi copre il turno del giovedì pomeriggio, l’altra lavora il martedì mattina che è il secondo giorno della settimana dedicato alle interruzioni di gravidanza”.
La sala che ospita i colloqui tra gli assistenti sociali e le pazienti a quest’ora è vuota. Un armadio, due sedie attorno al tavolo, domande dirette, risposte sudate e quella rinuncia alla maternità che finisce sopra a un foglio di carta. Inizia il conto alla rovescia: sette giorni di tempo per confermare la propria scelta o per tornare indietro. Rosanna Mazzulla, caposala del reparto di Ostetricia e Ginecologia, sussurra più che parlare. Sembra quasi una forma di pudore la sua, unita a un sentimento di profondo rispetto: “Ogni tanto capita che qualcuna cambi idea e all’ultimo momento decida di tenere il bambino. Le difficoltà economiche sono la prima causa di aborto. La famiglia è già numerosa e un altro figlio rappresenta un lusso che non ci si può permettere. Le minorenni invece sono quelle che arrivano accompagnate dai genitori”.
L’aborto terapeutico evita la sala operatoria ma non cancella il trauma psicologico. La somministrazione della RU486 nell’ospedale cosentino risale al 2019. “Il ricorso al farmaco – spiega la caposala – è consentito fino alla settima settimana di gravidanza, oltre questo termine la pillola non assicura il buon esito della procedura”. Il personale medico, su richiesta della Direzione sanitaria, definisce la tipologia dell’aborto da praticare: volontario entro 90 giorni, terapeutico fino a 180 giorni dall’inizio della gravidanza. Ancora a un paio di anni fa, le interruzioni chirurgiche venivano praticate esclusivamente a Rogliano, ma il progressivo depauperamento di quell’ospedale lo aveva reso pericoloso ogni giorno di più per la sicurezza delle pazienti.
“Non è stato semplice – ricorda il direttore di Ostetricia e Ginecologia Michele Morelli – ma al termine di una lunga battaglia il servizio è stato finalmente trasferito all’interno dell’Annunziata. Sono un obiettore di coscienza e sin dall’inizio della mia attività professionale ho scelto di stare dalla parte della vita. Prima di tutto però sono un medico che ha a cuore la salute e la sopravvivenza delle persone. Un utero perforato durante un’interruzione di gravidanza effettuata a Rogliano poteva significare la morte della paziente, a Cosenza rappresenta al contrario una complicanza che siamo in grado di risolvere in un minuto”.
I ginecologi in forze nel reparto guidato dal professor Morelli attualmente sono undici: tutti obiettori di coscienza, nessuno escluso. Anche il dottor Francesco Cariati, che per anni ha garantito la continuità del servizio, pochi mesi fa è passato dall’altra parte della barricata. Troppo pesante il carico di lavoro per riuscire a sostenerlo tutto da solo. Anche perché in reparto un’attività non esclude l’altra. “Siamo centro di riferimento regionale per le patologie ostetriche. Offriamo alta chirurgia di ginecologia oncologica. Ogni anno – calcola il direttore Michele Morelli – realizziamo 150 interventi di tumore maligno e altrettanti per patologie benigne. Gestiamo gli ambulatori di gravidanza a termine e gravidanza a rischio, l’ambulatorio di ginecologia oncologica, il pronto soccorso ostetrico-ginecologico è attivo h24. Abbiamo quattro sale parto con due sale operatorie. La pianta organica al completo prevede ventisette unità, al momento siamo soltanto in dodici”.
Quando il dottor Francesco Cariati ha annunciato che non si sarebbe più occupato di aborti, la Direzione sanitaria ha ingaggiato un medico “a gettone” che risponde al nome di Tiziana Russo ed è pagata sessanta euro all’ora. “Il contratto – chiarisce Gianfranco Scarpelli, direttore del reparto di Neonatologia e Tin – si proroga in automatico. In caso di sua assenza, attingiamo da una graduatoria e chiamiamo quelli che vengono dopo di lei. Il servizio, sia chiaro, non s’interrompe”.
Lo scorso mese di giugno, l’Azienda ospedaliera ha bandito un concorso per assumere due ginecologi. Dopo un ricorso davanti al Tar, i vincitori potrebbero al più tardi prendere servizio all’inizio del nuovo anno. “Abbiamo notizie – si consola il direttore Scarpelli – che si tratti di medici non obiettori di coscienza. Resta la questione degli anestesisti e degli infermieri pure loro liberi di scegliere tra obiezione e non obiezione. Ah, dimenticavo gli OSS. Quando ero direttore sanitario dell’Asp, mi sono dovuto occupare del caso di un operatore sanitario che si rifiutava di accompagnare in sala operatoria le pazienti che dovevano abortire. Ma il portantino obiettore di coscienza non si poteva neppure sentire. E infatti riuscii a spuntarla”.