Bergamini, Anselmo: «le menzogne della Internò pesano come un macigno. Sciatterie e lacune nelle indagini, chiediamo giustizia»

L'avvocato della famiglia Bergamini, Fabio Anselmo ha ripercorso tutti gli errori, le incongruenza e lacune nelle indagini ed evidenziato le bugie della Internò: «pesano come un macigno. La difesa si lamenta di gogna mediatica, mai un pensiero per la famiglia Bergamini. A Luciano Conte non interessava nulla della morte di Denis»

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COSENZA – In corte d’Assise a Cosenza è cominciata la requisitoria della Parte Civile, con il pool di avvocati guidati da Fabio Anselmo che assiste la famiglia Bergamini. Venerdì, a conclusione della requisitoria della Pubblica accusa, la Procura di Castrovillari ha chiesto 23 anni di reclusione per Isabella Internò. «È la mandante di un omicidio premeditato e concorre nell’omicidio di Denis Bergamini – ha sostenuto l’accusa -, la cui colpa è stata quella di aver chiuso la loro relazione e di non averla sposata per salvare l’onore dopo l’aborto di due anni prima“. Un omicidio passionale e la Internò sarebbe giunta a tale determinazione, secondo l’accusa, a causa della mancata celebrazione “di un matrimonio riparatore” che la ragazza avrebbe desiderato nel 1987 dopo essere rimasta incinta del calciatore.

Nel prende la parola, l’avvocato Anselmo ha evidenziato subito che ci sarebbe stata l’intenzione di ripercorrere quanto già evidenziato la pubblica accusa. “L’ha detto il PM: in questo processo emerge la falsità dell’alibi della testa con un’organizzazione del mendace. Siamo davanti ad un processo indiziario è bene ha fatto la Procura ha percorrere ogni pista possibile. Noi siamo convinti che Isabella Internò abbia ucciso Denis Bergamini. Sono qui a chiedere a valutare i fatti. Davvero pensiate che Isabella Internò sia una persona diversa rispetto a 35 anni fa?».

Processo mediatico? No sciatteria e incongruenza nelle indagini

Anselmo parla delle menzogne della Internò e ripercorre tutti gli errori, quelle che lui definisce sciatterie, incongruenza lacune nelle indagini dell’epoca, a cominciare dai primissimi momenti dopo la morte dell’ex calciatore del Cosenza, fino alle indagini dell’allora PM Abbate. Un vero e proprio cortocircuito per una indagine che «evidentemente andava immediata chiusa».

«Siamo qui oggi  – dice Anselmo – perché le menzogne della Internò pesano come un macigno. La difesa si lamenta di gogna mediatica ricevuta, senza mai un pensiero per la famiglia Bergamini. In tutte le intercettazioni non c’è mai una parola a favore della vittima che a loro dire si è suicidata. C’è invece odio verso la sorella Donata, perchè a loro dire avrebbe influenzato i testimoni e creato un processo che mai si sarebbe dovuto svolgere. Noi, invece, siamo invece qui perchè la famiglia ha diritto di conoscere la verità dopo 35 anni, con una serie di indagini dove vi sono state incongruenze, errori e sciatterie incredibili».

Anselmo, nel suo lunghissimo intervento, ha evidenziato che nessun elemento, nel corso di tre anni di processo e decine di testimoni, ha dato una visione diversa rispetto a quanto sappiamo. «La faccia tosta della Internò è incredibile. Se siamo qui non è per colpa nostra, ma di chi ha fatto le indagini che, sin dai primi momenti, come ha spiegato bene anche il Procuratore D’Alessio, vi era la consapevolezza che fosse stato un omicidio. E lo dicono anche tutte le rilevanze medico e scientifiche. Abbiamo 6 o 7 personaggi di questa vicenda di cui non possiamo non parlare. La Internò ha commesso un mendacio e quindi è una prova».

“Indagini errate sin dalle prime ore”

E si parte dai primissimi momenti dopo la morte di Bergamini. «Per giustificare quanto sempre descritto della Internò e, quindi, con la dinamica del suicidio, occorre che il corpo sia pieno di lesioni. Michele De Marco, il primo medico intervenuto sul luogo per constatare il decesso di Denis, nel suo certificato scrive una serie di falsità e di gravissimi errori. Certificò un inesistente sfondamento toracico ed altre lesioni. Si è poi giustificato sostenendo che allora era giovane ed inesperto nonché emotivamente impressionato dal cadavere di quel ragazzo. Ha poi aggiunto di non averlo nemmeno spostato».

Quello stesso certificato è stato poi visto dal brigadiere Barbuscio, che fa i suoi rilievi e incredibilmente riconsegna il camion a Pisano. Anche qui c’è un’anomalia terribile. Che prosegue, ancora, visto che non viene chiamato un medico legale, ma un medico del pronto Soccorso il quale contesta in maniera decisa di aver mai contribuito a sottoscrivere il verbale e il riconoscimento». Si tratta di Antonio Raimondi, medico intervenuto in obitorio il giorno dopo la morte del calciatore.

Il primo verbale della morte di Donato Bergamini

Insieme a lui, nella camera mortuaria, c’erano il PM Abbate e il maresciallo dei carabinieri Nicola Carbone. Il verbale, spiega l’avvocato Fabio Anselmo, descriveva una «accurata osservazione del corpo con verifica di ipostasi tramite digitopressione, rigidità muscolare politraumatismi alle ossa in varie parti del corpo. Il tutto sarebbe stato scritto sotto dettatura del dottor Raimondi che, però, ha negato decisamente di averlo fatto e di aver ricevuto un incarico in tal senso. Ha solo visto quell’anomala depressione sul corpo ma è poi andato via. Quell’ispezione si sarebbe limitata all’osservazione del corpo vestito a due metri di distanza. C’è poi il giallo dei vestiti, mai consegnati alla famiglia». «Che senso ha avuto processare l’autista Pisano se si è sempre creduto alla testi del suicidio con due archiviazioni e un’assoluzione? Noi portiamo dati oggettivi ma non li commentiamo».

La perizia di Coscarelli e la relazione di Barbuscio

«Il dottor Abate il 23 novembre (quando venne sentita la Internò) fa una cosa che non trova nessuna logica. Affida al professor Pasquale Coscarelli, una relazione (che è agli atti) che è la prima a riportare la dinamica dell’incidente. Una consulenza però redatta in poco meno di 10 giorni che, per stessa ammissione di Coscarelli, era priva di tantissimi elementi tecnici e che gli era stato concesso così poco tempo per consegnarla. Coscarelli ha poi ammesso che non avrebbe mai dovuto firmare quella relazione».

«Il maresciallo Barbuscio il giorno 8 gennaio del 1990 fa una relazione di servizio dove ripete tutto quello che aveva già detto, spiega il posto di blocco, ripete la versione della Internò nei minimi particolari. Tutto questo veniva rapportato al dottore Abbate che disponeva la rimozione del cadavere, la presenza di un medico legale e di due persone che avrebbero dovuto fare il riconoscimento e sequestrare il mezzo pesante. Negli atti c’è scritto che quando erano stati fermati ad un posto di blocco, la Internò e Bergamini sembravano due drogati, mentre in un’altra deposizione di un anno dopo, parlerà di due persone preoccupate. Scrive ancora che il cadavere, tranne lo schiacciamento viscerale, non presenta alcuna ferita in altre parti del corpo. Ma perchè scriverlo?».

Isabella interò

Le menzogne della Internò e la gelosia

Tra le altre anomalie c’è un dato «abbiamo la prova provata dell’individuazione del falso che ricorre dalle intercettazioni. La telefonata che Denis fece alla Internò il sabato pomeriggio alle 16. Telefonata che restituisce alla Internò l’onore compromesso e le restituisce il ruolo emotivo e sentimentale di possesso di Denis Bergamini. La gelosia è una brutta bestia che può portare alla possessività (gli appostamenti dietro i cassonetti e le telefonate continue anche ai compagni), a un disturbo del controllo e si può arrivare anche ad uccidere».

Si riconosceva come la vedova di Bergamini

Per tutto il tempo abbiamo visto che la Internò era intenta rafforzare una versione che però faceva acqua da tutte le parti. E così quando incontra i calciatori ripete di continuo «mi credi, mi credi?». Aveva un’ossessione per i calciatori, voleva far parte di quel mondo e per questo che si recava sempre al Motel Agip. L’abbiamo vista tutti al funerale e di quella che era un’esibizione di potere, di onore restituito e di gelosia risolta. Disperata piangeva sulla bara tanto da prendersi la scena persino sui familiari».

«È poi salita sul bus dei calciatori per tonare a casa, addirittura telefona ai genitori di Denis chiedendo indietro la Maserati promessa a lei dal calciatore. La Internò – dice Anselmo – doveva essere vista come la vedova di Bergamini». Anselmo smonta poi le dichiarazioni della Internò, fatta anche ai PM, relativamente ad una telefonata che la donna dice di aver ricevuto da Bergamini e di un loro incontro, evidenziando che le Dodaro (amiche e vicine di casa) erano solo un alibi. «Non è Bergamini a chiamare la Internò che è stata smentita anche dalla madre».

Denis-Donato-Bergamini

Il ruolo di Conte e i rapporti con la Internò

Per Anselmo «abbiamo una percezione della consapevolezza di quello che è accaduto che è netta nel 2013, ma un pò più sfumata del 2011. Questo omicidio matura in un contesto familiare, con un movente passionale e caratterizza il rapporto tra le persone. Analizzando le intercettazioni tra Luciano Conte e la moglie Interò, emerge un dato che ci ha convinti di poter rappresentare, senza sbagliare, un Conte, rispetto alla propria moglie, più preoccupato del suo nome e di non fare la parte del tradito, che dell’episodio stesso della morte. Il alcuni momenti il tenore delle conversazioni ha un doppio binario. C’è il 2011 quando si preoccupa di ciò che deve dire la moglie. La sua preoccupazione, tuttavia, è sfasato. Da un lato è preoccupato perché consapevole che quanto raccontato sul suicidio della moglie non è vero».

«A Luciano Conte non interessava nulla della morte di Denis»

«A Conte non interessava nulla della morte di Donato.

Conte era legato alla Internò già prima dell’omicidio. È documentata una presenza assidua di Conte a Cosenza e Paola mesi e mesi prima della morte. Lo stesso Conte in udienza ha cercato maldestramente di negare l’evidenza. Nel 2011 Conte viene a sapere che c’è un’amica (la Rota) a cui la Internò ha parlato. Lui sa che Bergamini non è morto per suicidio, lui è un poliziotto. Ma a lui non interessa nulla. La sua unica preoccupazione è non fare la figura del cornuto. È arrabbiato perché è venuto ma sapere che la Internò si vedeva ancora con Denis. Ci sono delle intercettazioni dove lui è preoccupato che vengano fuori altre cose e che poi finiscono sulla stampa. Alla moglie dice: non aggiungere altro non entrare nel dettaglio. Deve venire fuori un rapporto normale».

L’avvocato Anselmo fa poi ascoltare in aula alcune intercettazioni ambientali tra Luciano Conte e Isabella Internò e le commenta. «Qui emerge la gelosia dell’uomo, ma anche la preoccupazione per la verità che sta venendo venendo fuori nei confronti della moglie soprattutto dopo aver parlato con Tiziana Rota».

Il dolore di Donata “una vita ad spettare la verità”

Le mie ultime parole sono per Donata Bergamini «stiamo parlando di una vicenda giudiziaria che ci trasciniamo da tanto tempo. Ci siamo quasi assuefatti. Ai giudici popolari vi chiedo di pensare a questa famiglia, a che cosa ha passato e di mettervi nei loro panni. Una vita intera trascorsa nell’aspettativa di avere verità. Il dolore per tanti anni di una negazione della verità. Pensate al cuore di questa donna ed anche la suo fegato sentendo parlare di suo fratello come drogato, come coinvolto nel calcio scommesse. Parliamo di un ragazzo educato e genuino che pochi giorni fa avrebbe compiuto 62 anni. Concludo dicendo: chiediamo giustizia“.

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