Comune di Rende: Tar conferma legittimità dello scioglimento, respinti ricorsi di Manna e degli ex amministratori
Il Tar del Lazio nella sentenza ha riunito - respingendoli - i due ricorsi proposti dall'ex sindaco e dagli ex amministratori del Comune di Rende per contestare il decreto del 28 giugno 2023 che ha disposto lo scioglimento dell'Amministrazione comunale
RENDE – Il Tar del Lazio con una sentenza nella quale ha riunito – respingendoli – due ricorsi proposti dall’ex sindaco e dagli ex amministratori del Comune di Rende (Cosenza), per contestare il decreto con il quale il Presidente della Repubblica il 28 giugno 2023 ha disposto lo scioglimento dell’Amministrazione comunale, e a cascata di tutti gli atti precedenti e successivi.
Dal complesso degli elementi raccolti “emerge con manifesta chiarezza l’infondatezza delle argomentazioni spese nel ricorso… atteso che le circostanze considerate nella proposta ministeriale risultano ampiamente supportate dall’istruttoria amministrativa compiuta”; e “la successiva valutazione delle stesse appare essere avvenuta in maniera logica e coerente, atteso che il complesso di relazioni personali, la generale mala gestio della cosa pubblica… dimostrano in maniera chiara ed univoca la sussistenza dei requisiti di legge per lo scioglimento dell’ente locale”.
Il Tar, rammentando preliminarmente come il sindacato del giudice amministrativo “stante l’ampiezza della discrezionalità amministrativa, è limitato ai casi macroscopici di eccesso di potere, quali il travisamento di fatto, il difetto dei presupposti ovvero la patente illogicità”, ha poi illustrato tutte le contestazioni effettuate, arrivando a puntualizzare come “le dichiarazioni raccolte dalla Commissione d’accesso appaiono esser state prudentemente apprezzate dalla Prefettura e dal Ministro dell’interno“.
Affrontando poi il tema dei procedimenti penali a carico degli amministratori locali, il Tar ha osservato come “gli esponenti (sostanzialmente) si limitino a rappresentare gli esiti degli stessi (pienamente favorevoli per gli imputati), sostenendo che tale circostanza determini un vizio d’istruttoria. Tale tesi, tuttavia, non convince”, giacché “contrariamente alla tesi difensiva, la struttura ministeriale non ha semplicemente recepito le conclusioni delle indagini penali, anzi – come evidenziato nella proposta ministeriale all’ottavo capoverso – ha impiegato tali dati come momento di partenza per i differenti accertamenti della commissione d’accesso”. Ecco che allora, dal complesso degli elementi raccolti per i giudici emerge l’infondatezza della tesi difensiva.