Vigilia dell’Immacolata, oggi la parola d’ordine a Cosenza è “Cuddruriaddri” – Ecco la ricetta perfetta
Oggi a Cosenza, e in molti centri della provincia, è il "cuddruriaddru day". Il perfetto esempio della tradizione, con ingredienti poveri ma ricchi di gusto e storia. E' tradizione che il 7 dicembre cuddruriaddri e vecchiareddre vengano preparati e gustati sia a pranzo che a cena, in famiglia o con gli amici
COSENZA – È la Vigilia dell’Immacolata e a Cosenza, come da tradizione, è il giorno dei Cuddruriaddri. Con l’avvicinarsi delle feste natalizie, la città si trasforma in un enorme calderone di olio bollente. Le inconfondibili note aromatiche che ci regala la “frittura”, rappresentano il vero profumo del Natale nella città dei Bruzi. Re incontrastato di tutto questo friggere, è sicuramente il “cuddruriaddru”; del resto riferirsi alla tanto amata ciambella con termini regali, risulta appropriato visto che il nome deriva dal greco κολλύρα (kollura) che vuol dire “corona”. I cuddruriaddri sono un tesoro gastronomico tanto semplice quanto unico e delizioso. La loro pronuncia è tipica proprio della città di Cosenza con quel “ddru” con la doppia d, praticamente impossibile da pronunciare se non si è cosentini.
Delle origini si sa ben poco, ma l’idea di buttare nell’olio caldo una pasta lievitata è cosa antica; tant’è che in tutte le regioni italiane esiste qualcosa di simile, un impasto di acqua e farina, lievitato e quindi fritto. Sono esemplificativi la pizza fritta napoletana e quella laziale, la torta fritta di Parma, le pittule pugliesi e così via.
Le vecchiareddre: variante con l’acciuga
I cuddrurieddri possono avere diverse forme e grandezze e, come detto, si possono gustare sia salati che ricoperti di zucchero. Le vecchiarelle, invece, sono la varante con la forma allungata, al cui interno viene inserita la sarda. Ma ci sono anche tante buonissime varianti come quelle ripiene di baccalà, pomodoro o con il caciocavallo. Una vera e propria delizia.
Ciò che contraddistingue il nostro godereccio ‘anello dorato’ è l’utilizzo della patata, elemento del resto spiegabile in quanto, in un’ottica di economia contadina, le famiglie più povere hanno sempre utilizzato ciò che si produceva, e si hanno evidenze della coltivazione della patata nell’altipiano silano sin dall’inizio del ‘800, considerando che il tubero in questione, entrò a far parte della dieta europea solo nel ‘700. Ecco che la Sila diventa una roccaforte di questa preziosa fonte di amidi. Che lo conosciate come cuddruriaddru, culluriallu, crustulu, grispella o altro, la ricetta resta semplice, anche se le proporzioni cambiano spesso e volentieri, di famiglia in famiglia, ed arrivano anche ad escludere la patata.
Cuddruriaddri: ecco la ricetta perfetta
– 1 kg di farina
– ½ kg di patate lesse (silane ovviamente)
– 250ml di acqua
– 1 cubetto di lievito fresco
– 15 gr di sale
Si impasta tutto e si lascia lievitare in luogo tiepido. Quando l’impasto sarà ben gonfio, si scalda abbondante olio per frittura in una padella dai bordi alti, ci si ungono le mani con olio d’oliva e si preleva un pezzo di impasto, allargandolo con le mani a dargli la forma di ciambella. Infine giù nell’olio girando i cuddruriaddri quando saranno ben dorati da un lato, ed ultimando quindi la cottura dall’altra parte. Si scolano quindi su carta da cucina e via ai festeggiamenti.
Le nostre nonne usavano far roteare una bacchetta di legno d’ulivo al centro delle ciambelle per riuscirle tutte con il buco, mentre magari urlavano terrorizzate a che i più piccoli non si avvicinassero al pericoloso liquido bollente.
Tradizionalmente si dovrebbe usare olio extravergine d’oliva ma ormai un po’ tutti utilizziamo olio di semi dall’impatto aromatico meno invadente ma anche dal prezzo proponibile, viste le quotazioni raggiunge dall’oro verde. Infine non dimenticate di onorare la tradizione con le “vecchiareddre”, sempre con lo stesso impasto ma farcito con le acciughe.