“Isabella Internò voleva diventare la signora Bergamini. Non c’è riuscita e ha eliminato l’ostacolo”
Da quel maledetto e misterioso giorno sono ormai trascorsi trentacinque anni. Oggi però, a differenza degli anni passati, la sensazione è che si è veramente vicini alla verità
COSENZA – Ultimo giorno dedicato alle arringhe della parte civile nel processo che mira a far luce sulla morte di Donato Bergamini, calciatore del Cosenza Calcio, trovato cadavere lungo la Statale 106 Jonica, a Roseto Capo Spulico, il 18 novembre 1989. Da quel maledetto e misterioso giorno sono ormai trascorsi trentacinque anni. Oggi però, a differenza degli anni passati, la sensazione è che si è veramente vicini alla verità.
Stamattina in Corte d’Assise a Cosenza, era presente Donata Bergamini, sorella del centrocampista ferrarese. Grande assente in aula l’unica imputata Isabella Internò. Nelle scorse udienze la Procura di Castrovillari ha chiuso il cerchio, chiedendo 23 anni di carcere per l’ex fidanzata. L’accusa è omicidio volontario in concorso con ignoti. Una richiesta chiara di condanna, compresa di due aggravanti: premeditazione e motivi abietti o futili. La sentenza è fissata per il 1° ottobre. Per i magistrati c’è il movente, ci sono le prove scientifiche e le testimonianze che inchiodano l’imputata alle sue responsabilità. Mancano solo gli esecutori materiali del delitto, coperti da una serie di buchi neri nelle indagini che nei giorni successivi alla morte di Denis hanno avvallato per anni la versione del suicidio senza motivo con “un tuffo come in piscina”.
Alla Internò interessava solo ritornare nel giro
Le protagoniste, oggi in aula, sono state le avvocatesse Silvia Galeone e Alessandra Pisa della parte civile. Due arringhe, dettagliate e appassionate che non hanno fatto sconti a nessuno. A prendere la parola per prima è la Pisa che traccia con chiarezza il profilo comportamentale di Isabella Internò, puntando l’attenzione sui minuti successivi al ritrovamento del corpo di Denis vicino il camion. “Una freddezza impressionante davanti al corpo morto di Bergamini, che lei(la Internò ndr)considerava ancora il suo fidanzato anche se non lo era più da mesi. Il suo primo pensiero è quello di telefonare Gigi Simoni e Ciccio Marino per raccontare ciò che era appena avvenuto. La sua volontà era quella – continua l’avvocatessa – di far ritorno a Cosenza per impossessarsi del ruolo che Denis le aveva tolto, quello di fidanzata, al fianco del calciatore emergente, immersa nel mondo del calcio che conta. Con il corpo a terra non pensa ad avvertire la famiglia del ragazzo, ma chiama i suoi compagni di squadra nonostante fosse fuori dall’ambiente calcistico da un anno.
Il cruccio della Internò, che svela subito a Simoni durante la chiamata, è quello di allontanare il più possibile da sé il sospetto di colpevolezza”. Fa la stessa cosa con Galeazzi il giorno dopo: “ce l’hai con me? Qualcuno ce l’ha con me?” chiede la Internò. La Pisa fa notare alla Corte come la Internò insisteva a tornare al Motel Agip per parlare con i calciatori. Per prendersi il posto di erede, moglie e oramai vedova di Denis ed è per questo motivo che pretendeva la Maserati di Bergamini: “l’ha lasciata a me”. L’auto era la fede nuziale.
La Internò alla Rota: “è stato giusto così”
L’avvocatessa parte da quello che Isabella dice alla Rota ovvero: “è stato giusto così”. Una chiave di lettura che rende evidente – sostiene Pisa – cosa è stata la morte di Denis per la Interno: “andava fatto, l’ho fatto, l’ho voluto e l’ho punito per avermi tolto il ruolo di moglie. Eliminando così l’ostacolo”.
L’avvocato Pisa ha poi analizzato con accuratezza alcuni aspetti medico-legali facendo cadere la tesi della Innamorato. “Non è stato per noi difficilissimo smontare la loro tesi, perché semplicemente si smonta da sola. Gli argomenti a nostro modo di vedere – dice l’avvocatessa – sono separati dal reale, separati dalle risultanze processuali. Elementi astratti messi, giustamente in campo dalla difese, per provare ad intralciare quello che è un percorso lineare. Il corpo di Denis parla di uno svuotamento di sangue di un morto. Laddove, invece, aveva segni di vitalità convergenti questi sono la realizzazione di quel fenomeno asfittico che ha avuto come precedente quell’azione omicidiale di cui Denis è stato vittima“.
In questo processo, fatto di oltre sessanta udienze, sono intervenuti molti esperti i quali tra loro sono tutti concordi. In sostanza – secondo l’accusa – ci sarebbe la dinamica, il movente e degli alibi smontati. “Manca l’ipotesi alternativa – dice la Pisa – l’ipotesi alternativa del suicidio, manca l’ipotesi alternativa della fuga. Non c’è niente che sta in piedi. Isabella Internò fornisce tantissime versioni di quello che avrebbe detto Denis dall’andare in Grecia ai problemi (inesistenti) con il Cosenza Calcio o in famiglia. Ad ognuno diceva una cosa diversa e nessuno di queste – conclude l’avvocato di parte civile – era vera”.
Galeone: “11 versioni diverse sulla cena a Santa Chiara”
A prendere la parola dopo la Pisa è l’avvocato Silvia Galeone la quale ha puntato l’attenzione sulla presunta cena che si sarebbe tenuta tra i familiari di Internò a Santa Chiara la sera della morte di Bergamini. “Di questa fantomatica cena abbiamo 11 versioni diverse ed è strano – sottolinea l’avvocatessa – che la famiglia Internò è l’unica che nel corso degli anni anziché dimenticare i dettagli, li ha aggiunti. Si tratta di un falso alibi. Insomma – dice la Galeone – siamo davanti a una serie di testimonianze false, ricche di discrasie. Ma la vera domanda è: perché inventare?
Viene da domandarsi:ma è verosimile che un ragazzo giovane e in ascesa come Denis abbia deciso di suicidarsi in quel modo? È verosimile la sua presunta fuga all’estero? Giuridicamente io dico di no. Ora tutti noi, io per prima – chiosa l’avvocatessa – abbiamo una grande responsabilità nei confronti della famiglia Bergamini dopo 35 anni di errori. Non possiamo più sbagliare”.
Le arringhe della difesa sono previste per le udienze del 26 e del 30 settembre