COSENZA – “La situazione del nostro ospedale, Pronto Soccorso in testa, ma anche delle altre strutture pubbliche e private, la conosciamo tutti. Quello che lascia stupiti è che, nonostante la miriade di lettere e segnalazioni di disservizi, non si veda alcun miglioramento. Anzi, si va verso forme organizzative sempre più restrittive con le giustificazioni più diverse”. Inizia così il post di Lorenzo che si chiede: “L’inaugurazione del nuovo PS è servita a qualcosa?”.
“Intanto ora non è più possibile sostare davanti alla porta del reparto, ma solo nell’apposita sala d’aspetto non adiacente, e chi ci è passato conosce l’ansia di attendere qualcuno per avere qualche notizia, oppure cercare di spiare nel corridoio per individuare il proprio familiare e vedere se è ancora vivo o meno”.
“Allontanare i familiari (e ovviamente mi riferisco alla maggioranza di persone educate, non agli eccessi che pure capitano) significa liberarsi di una forma basilare di controllo e sorveglianza, ma soprattutto impedire un fondamentale supporto nell’assistenza che, per la carenza di personale, i sanitari presenti e super carichi di lavoro non possono garantire a tutti”.
“Perché, è bene dirlo chiaramente, tutti sappiamo che c’è carenza di personale, che il PS di Cosenza è ormai riferimento per l’intera provincia, che la situazione è difficile… Ma a chi spetta risolvere questi problemi? Ai pazienti che hanno bisogno di cure? O piuttosto all’Azienda ospedaliera, alla politica (sorvoliamo sull’importanza del voto altrimenti il discorso finisce fuori tema), ai medici e al personale che devono segnalare ai superiori le criticità e pretendere di lavorare in un ambiente ottimale? È possibile che di ogni criticità debbano farne le spese i pazienti?”.
Interrogativi del tutto leciti ai quali si spera di ottenere risposta. “Intanto – prosegue Lorenzo – si dovrebbe prendere atto di una cosa importantissima: molti pazienti non completamente autosufficienti che finiscono nel PS passano delle ore infernali in attesa di esami, visite o attenzioni; senza potere parlare con qualcuno, segnalare bisogni, muoversi per cercare di darsi una sistemata. La presenza di un familiare accanto sarebbe in quelle ore la prima forma di sollievo e conforto, in attesa delle cure del caso”.
“In una situazione ideale non dovrebbe essercene bisogno, è vero. Ma dato che la situazione ideale è lungi dal verificarsi, fino a che non si riuscirà ad avere personale sufficiente per dare le giuste attenzioni a tutti i poveri disgraziati che finiscono lì dentro, sarebbe opportuno riconoscere il diritto (almeno per ogni paziente non completamente autosufficiente) di essere accompagnato o assistito da un familiare. È una questione di praticità e soprattutto di umanità”.