Il depuratore che ‘sporca’ il Crati gestito dagli stessi indagati
I lavoratori accusati di usare il depuratore per inquinare il Crati restano al loro posto, mentre i residenti continuano a lamentare i disagi per le esalazioni maleodoranti
RENDE (CS) – Inquinamento e maladepurazione. Continua ad essere gestito dalla Ge.Ko. l’impianto di Coda di Volpe. Al confine tra Rende e Montalto Uffugo il depuratore Vallecrati tratta i reflui fognari di entrambi i Comuni oltre a quelli di Cosenza, Castrolibero, Marano Principato, Marano Marchesato, Rovito, Castiglione Cosentino, Zumpano, Casali del Manco, Carolei, Rose, Dipignano, Mendicino, San Pietro in Guarano, Lappano, Montalto Uffugo, San Fili, Cellara e Domanico. I residenti dei quartieri limitrofi ne conoscono bene l’odore. I più temerari anche il colore e la schiuma. Disagi causati dagli sversamenti nel fiume Crati delle acque nere di un circondario di oltre 300mila abitanti. Si sospetta, senza alcun tipo di trattamento. Di proprietà della Vallecrati, consorzio composto da 35 Comuni cosentini (ne fanno parte anche Figline Vegliaturo, Pietrafitta, Spezzano della Sila e San Vincenzo la Costa), è oggi al suo secondo sequestro affidato al presidente Maximiliano Granata in qualità di custode giudiziario e gestito dalla Ge.Ko.. Quest’ultima rappresenta l’ex General Construction a cui dal 2014 viene prorogato un affidamento ‘provvisorio’ che sarebbe dovuto durare solo sei mesi. Alcuni dei suoi dipendenti, che continuano a lavorare nell’impianto sono stati oggetto delle attenzioni della magistratura che ha riscontrato gravi inadempienze nel loro operato.
I LAVORATORI INDAGATI E LE ANALISI ‘TAROCCATE’
Liquami maleodoranti, come emerso dall’operazione Cloaca Maxima, sono stati gettati nel fiume Crati senza soluzione di continuità. Sei sono i dipendenti della Ge.Ko. indagati dalla Procura di Cosenza in concorso per il reato di inquinamento ambientale. Nel mirino della magistratura sono finiti il responsabile dell’unità operativa Dionigi Fiorita accusato di aver impartito direttive per usare il bypass generale sversando i reflui fognari direttamente nel corso fluviale che sfocia nello Ionio e nelle colture della sibaritide. Il tutto attraversando parte della provincia di Cosenza. Vincenzo Cerrone, invece, direttore dell’impianto di Coda di Volpe avrebbe falsificato gli esiti delle analisi batteriologiche. Le indagini immortalano come durante i prelievi di controllo dell’Arpacal le acque nei pressi dello scarico non erano torbide e non contenevano schiuma. Al contrario delle immagini dei giorni precedenti e successivi.
I valori risultavano così ‘per magia’ in linea con quelli previsti dalla legge. Lo scostamento con i dati falsi, per la presenza di azoto nitrico, era esorbitante. La pubblica accusa sostiene che “nessun dubbio sussiste in ordine al fatto che la compromissione e il deterioramento delle acque del fiume Crati emersi siano stati causati dall’attività del depuratore consortile”. Escherichia coli e tensioattivi anionici, in quantità 20 volte superiori al limite consentito, si trovavano infatti sia in prossimità dell’impianto sia centro metri a valle, ma non ve n’era traccia cento metri a monte. L’impianto, di fatto, invece di depurare inquinava le acque. Ad oggi però sono gli stessi indagati, tranne Cerrone (sottoposto all’interdizione dai pubblici uffici per 12 mesi e trasferito in Campania), a trattare i reflui fognari dei Comuni che confluiscono nell’impianto di Coda di Volpe nonostante siano stati inizialmente sottoposti lo scorso febbraio alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
INQUINAMENTO ‘PILOTATO’
Dopo lo scandalo dei suoi dipendenti la Ge. Ko. continua infatti a gestire il depuratore del consorzio Vallecrati in quanto per la Procura di Cosenza “gli indagati non rivestono alcuna delle posizioni ‘apicali’ né sono emersi profili di coinvolgimento da parte dei vertici della società nell’attività illecita degli sversamenti nel fiume Crati”. A scaricare i liquami delle fognature cosentine senza depurazione nel Crati, su indicazione dei due dirigenti Fiorita e Cerrone, erano infatti degli operai. Si tratta di Giovanni Provenzano, Annunziato Tenuta, Rosario Volpentesta e Eugenio Valentini. Grazie alle loro manovre, le pompe di sollevamento del depuratore pare venissero disattivate ogni giorno anche per 14 ore consecutive trasformando il fiume più importante della provincia di Cosenza in un corso d’acqua fetido, dal colore torbido, ricoperto da schiuma giallastra. Gli indagati secondo la Procura di Cosenza “hanno sottoutilizzato l’impianto di sollevamento, pur consapevoli degli effetti inquinanti derivanti dalla propria condotta”. Quando arrivavano le ‘’visite’, cioè i controlli delle forze dell’ordine, con l’attivazione di pochi comandi veniva immediatamente ripristinata la regolare depurazione dei liquami.
Nella richiesta di misura cautelare firmata dal Procuratore Aggiunto Marisa Manzini si afferma che “l’assetto inquinante dell’impianto di depurazione è determinato dalla sola condotta degli indagati”. Dipendenti Ge. Ko. che ad oggi continuano a lavorare sull’impianto, mentre l’odore nauseabondo persiste, come lamentano i residenti, che hanno immortalato le nuove ‘ondate di schiuma’. Miasmi denunciati nei mesi in cui l’impianto era già sotto sequestro anche dal sindaco di Montalto Uffugo e che si propagano fino a raggiungere il Comune di Rose. ‘Puzza’ inesistente per i rilievi emersi dal sopralluogo effettuato questa estate da Ge.Ko., dal presidente del Consorzio Vallecrati Maximiliano Granata e dall’architetto ausiliario della custodia giudiziaria Giuseppe Giuliani suicidatosi a cavallo di Ferragosto. A ciò si aggiunge la preoccupazione dei residenti per il potenziale rischio epidemie che potrebbe sorgere dall’apertura del canile che ospiterà circa 800 randagi che il Comune di Rende ha deciso di realizzare a pochi metri dal depuratore, nei pressi dell’alveo del fiume in una zona soggetta ad inondazioni. Progetto cui gara d’appalto, ad ora, è andata deserta per la seconda volta.
INQUINARE PER ESSERE FINANZIATI: I 35 MILIONI DI EURO DEL CIPE
Non far funzionare il depuratore inquinando l’intera vallata fino al mar Jonio era una strategia attivata verosimilmente per risparmiare energia elettrica e creare una finta sofferenza dell’impianto per giustificarne l’ampliamento. Una scelta dettata dalle procedure di infrazione attivate dalla Corte di Giustizia Europea a causa della maladepurazione e dell’inquinamento provocato dalla pessima gestione dell’impianto. L’obiettivo era (e resta) quello di accaparrarsi 35 milioni di euro di fondi Cipe per costruire nuove vasche. Soldi che il 27 Agosto 2018, con apposita delibera dell’assemblea consortile, i Comuni di Aprigliano, Castrolibero, Cerisano, Cosenza, Rende, Domanico, Montalto Uffugo, Rose, San Benedetto Ullano e San Martino di Finita hanno confermato di voler affidare alla Ge.Ko. attraverso un project financing, noncuranti del sequestro e delle indagini a carico dei suoi dipendenti.
Eppure nelle intercettazioni dell’operazione Cloaca Maxima è chiaro come l’ingegnere Cerrone della Ge.Ko. dia istruzioni a un suo collega per compilare gli atti necessari ad accedere al finanziamento Cipe da 35 milioni di euro chiedendo di inserire che i fondi siano stanziati “in tempi stretti per evitare il disastro ambientale”. Disastro perlopiù creato, secondo gli inquirenti, dagli stessi dipendenti della Ge. Ko. disattivando le pompe che dovevano depurare i reflui fognari e inquinando così il Crati con continui sversamenti: 141 immortalati in soli due mesi da luglio ad agosto del 2017. L’impianto, nella richiesta di finanziamento, deve essere definito per Cerrone come vetusto anche se le pompe nuove, in realtà, sono state acquistate da pochi anni e non funzionano solo perché vengono appositamente spente dai dipendenti della Ge. Ko. provocando gli sversamenti nel fiume.
PRESIDENTE CONSORZIO VALLECRATI E CORRUZIONE ELETTORALE
Il depuratore sotto sequestro gestito dai dipendenti della Ge.Ko. indagati è, come già detto, di proprietà del consorzio Vallecrati presieduto oggi da Maximiliano Granata che funge anche da custode giudiziario. Ritornato in carica a gennaio del 2018, dopo un anno di interdizione dai pubblici uffici annullata dal Tribunale del Riesame di Catanzaro, nei prossimi mesi tornerà tra le aule del Tribunale di Cosenza per rispondere del reato di abuso d’ufficio e corruzione elettorale insieme all’imprenditore Francesco Gallo. Un’inchiesta nata dalla candidatura del fratello Vincenzo Granata nelle liste a sostegno dell’attuale sindaco di Cosenza Mario Occhiuto durante le elezioni comunali del 2016. Dall’inizio del 2018 Maximiliano Granata è così tornato ad essere il presidente del Consorzio Vallecrati, mentre il fratello Vincenzo presiede la commissione Ambiente del Comune di Cosenza ed è vicepresidente dell’Ato per la provincia di Cosenza. Ato che nel proprio Piano d’Ambito ha il compito di individuare le opere prioritarie per il riefficentamento dell’intero Sistema Idrico Integrato e quindi anche del sistema di depurazione cosentino.
I SOLDI DEL CONSORZIO VALLECRATI
La situazione finanziaria del Consorzio Vallecrati viene definita dallo stesso Consiglio di amministrazione “incerta”. Sia per le oltre 100 procedure giudiziarie e circa 40 tentativi di conciliazione in corso avviate nei confronti dei Comuni per il recupero crediti. Sia per quanto riguarda i pignoramenti da parte di società creditrici quali Calabra Maceri e Fisia Impianti. Quest’ultima vanta un credito da 2 milioni e 243mila euro dal Comune di Cosenza e oltre due milioni di euro da altri Comuni che fanno parte del Consorzio Valle Crati. In totale un debito da 4milioni 769mila euro che, forse, dovrà saldare il Consorzio di Comuni Vallecrati. Cifre che i cittadini pagheranno in termini di aumenti di tasse e riduzione di servizi. Parte del debito, 430mila euro, Vallecrati li ha prelevati dai finanziamenti per la bonifica di una discarica in Sila.
Per liquidare la Fisia Impianti sono stati infatti dirottati i 430mila euro che dovevano essere investiti dal Consorzio Vallecrati nella post gestione dell’impianto di smaltimento rifiuti di San Giovanni in Fiore. Denaro stanziato dalla Regione Calabria “al fine di prevenire qualsiasi potenziale danno ambientale per i mancati interventi programmati sulla discarica”. Per la ripartizione invece dei debiti della Vallecrati tra i Comuni consorziati è stato presentato atto di citazione davanti al giudice ordinario del Tribunale di Cosenza. La sopravvivenza finanziaria dell’ente dipende quindi dalle sentenze che saranno emesse nelle vicende giudiziarie in corso. I ‘debiti’ ammontano a circa 48 milioni di euro. Si attendono le pronunce della magistratura sui procedimenti in atto per capire se le acque del Crati vengono depurate a norma di legge o sono oggetto di ‘anomalie’ nefaste per l’intero ecosistema.
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