‘Se chiami i carabinieri ti sparo in bocca’, cade l’aggravante mafiosa per la rissa in un bar di Cosenza
L'indagine è scattata grazie alla denuncia del titolare di un bar del centro bruzio dove si verificò la rissa furibonda. Per Giuseppe Bevilacqua cade l'accusa di aggravante mafiosa ma rimane quella di violenza privata
COSENZA – Cade l’accusa dell’aggravante mafiosa e rimane la violenza privata per Giuseppe Bevilacqua in seguito ad una rissa scoppiata in un bar del centro di Cosenza. Il Tribunale delle Libertà ha accolto le tesi dell’avvocato Francesco Gesolmino, difensore di Bevilacqua. La palla passa ora al gip distrettuale che dovrà ora rideterminare la contestazione mossa al 48enne. Intanto l’uomo resta agli arresti domiciliari. La stessa indagine, condotta dai carabinieri, vede coinvolto anche Francesco Rango, 24 anni, figlio del boss Maurizio, detenuto da tempo al 41 bis. Per il giovane, i giudici del Riesame avevano confermato la misura cautelare riconsiderando un solo capo d’imputazione.
L’indagine è scattata grazie alla denuncia del titolare di un bar del centro bruzio dove si verificò la rissa furibonda. “Sono Francesco Rango, il figlio di Maunizio Rango, se ti permetti a chiamare i carabinieri ti sparo in bocca e ti incendio il locale“. Sono le parole di intimidazione che il giovane rampollo di ‘ndrangheta, Rango, rivolse al proprietario. Subito dopo seguì un’aggtessione fisica contro l’esercente dell’esercizio commerciale e della guardia giurata deputata a garantire la sicurezza. Alla luce dei fatti, il Tribunale delle Libertà escluse Rango dalla partecipazione al pestaggio, per Bevilacqua, invece, la circostanza è stata ritenuta dimostrabile.