Gimbe: in Calabria il 7,3% delle famiglie nel 2023 ha rinunciato alle cure. La salute pagata di tasca propria

Nel Piano di Bilancio nessun rilancio per sanità pubblica. Dal rapporto in tema di Pnrr emerge che rispetto alle 61 Case della Comunità da attivare entro il 2026, nessuna è stata dichiarata attiva

CATANZARO – In Calabria la percentuale delle famiglie che hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie nel 2023 è pari al 7,3%, poco meno della media nazionale (7,6%). Il dato emerge dal settimo rapporto Gimbe sul Servizio sanitario nazionale all’interno del quale sono raccolti dati, analisi, criticità e proposte che vanno dal finanziamento pubblico alla spesa sanitaria, ai livelli essenziali di assistenza all’autonomia differenziata, dal personale alla missione salute del Pnrr fino al piano di rilancio del Servizio sanitario regionale.

“L’aspettativa di vita alla nascita (dati 2023) – riferisce il report – è pari a 82 anni (media Italia 83,1 anni). Per il personale sanitario (anno 2022) sono presenti 1,91 medici dipendenti ogni mille abitanti (media Italia 2,11); 3,9 infermieri dipendenti ogni mille abitanti (media Italia 5,13) con un rapporto infermieri/medici dipendenti pari a 2,05 (media Italia 2,44).

Dal rapporto in tema di Pnrr emerge che rispetto alle 61 Case della Comunità da attivare entro il 2026 non ne è stata dichiarata attiva alcuna. La percentuale pertanto è dello 0% (media Italia 19%); delle 21 Centrali operative territoriali da attivare entro il 2024 non risulta pienamente funzionanti alcuna Cot. La percentuale pertanto è dello 0% (media Italia 59%); E ancora: dei 20 Ospedali di Comunità da attivare entro il 2026 non ne è stato dichiarato attivo alcuno e quindi la percentuale pertanto è dello 0% (media Italia 13%).

Al 31 luglio 2024 la regione ha realizzato il 18% dei posti letto aggiuntivi di terapia intensiva (media Italia 52%), mentre quelli di terapia sub-intensiva, al 31 luglio 2024 la regione ne ha realizzato l’8% (media Italia 52%).

Aumenta la spesa ‘privata’ per curarsi, del 10% in un anno

La spesa per la salute pagata di tasca propria dalle famiglie italiane vede una impennata del 10,3% nel solo 2023 e sono quasi 4,5 milioni le persone che, nello stesso anno, hanno rinunciato alle cure. Questi numeri, uniti alle diseguaglianze regionali e territoriali, alla migrazione sanitaria e ai disagi per i tempi di attesa e i pronto soccorso affollati “dimostrano che la tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno”.

Rispetto al 2022, nel 2023 i dati Istat documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+4.286 milioni di euro) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica. “Le persone – spiega Cartabellotta – sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie. Una situazione in continuo peggioramento”.

La spesa ‘out-of-pocket’

E’ quella pagata direttamente dai cittadini, che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+5.326 di euro in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+3.806 milioni) in un solo anno. A questo si aggiunge il fatto che, secondo l’Istat, nel 2023, 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici per diversi motivi di cui 2,5 milioni per motivi economici, quasi 600.000 in più dell’anno precedente.

Crolla la spesa per la prevenzione

Rispetto al 2022, nel 2023 si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%), anche se tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire. Numeri che mostrano, spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “come princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli”.

Le previsioni: nessun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità

“La grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è frutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi”. E “le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità”. Gimbe rileva che secondo il Piano Strutturale di Bilancio (Psb), il rapporto spesa sanitaria/pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. E, a fronte di una crescita media annua del pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Psb stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo.

Il Fabbisogno (o Fondo) sanitario nazionale dal 2010 al 2024 è aumentato di 28,4 miliardi di euro, in media 2 miliardi per anno, ma con trend diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi tra tagli e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Quindi nel 2020-2022 il fabbisogno sanitario è aumentato di 11,6 miliardi, una cifra tuttavia assorbita dai costi della pandemia Covid-19. Per gli anni 2023-2024 è aumentato di 8.653 milioni di euro ma, nel 2023 ben 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai rinnovi contrattuali del personale. “Questi dati – spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – confermano che il definanziamento prosegue”.

Questo va di pari passo a una “crisi del personale sanitario senza precedenti”, afferma Cartabellotta. Turni massacranti, burnout e basse retribuzioni stanno portando a un progressivo abbandono: secondo la Fondazione Onaosi tra il 2019 e il 2022 la sanità pubblica ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti e Anaao-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. Ma la vera crisi riguarda il personale infermieristico. Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8).

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