La Calabria e il mare dimenticato: 800 km di costa, ma un’economia che affonda

La riflessione di Assonautica Cosenza che lancia l'appello: "burocrazia atavica e ferraginosa e zero strategie, urge una riqualificazione portuale calabrese"

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COSENZA – “Il Mare, e tutto il suo indotto, non è mai stato considerato come Asset strategico per il rilancio dell’economia Regionale. Nonostante il posizionamento strategico nel mediterraneo, condizioni climatiche ottimali, un territorio costiero di 795 km bagnati da due mari, una tradizione marinara consolidata e straordinarie potenzialità nel settore, l’Economia del Mare in Calabria non ha ancora raggiunto la giusta “collocazione”. Lo dichiara Assonautica Cosenza.

“Lo evidenziano i numeri. Ad oggi, con circa 228.000 imprese e oltre 1.000.000 di occupati, l’Economia del mare in Italia genera un valore aggiunto diretto pari a 64,6 miliardi di euro che, se consideriamo il valore attivato nel resto dell’economia, raggiunge i 178,3 miliardi di euro, pari al 10,2% del PIL nazionale, con un fattore moltiplicatore pari all’1,8: più semplicemente, per ogni euro speso nei settori direttamente afferenti alla filiera mare se ne attivano altri 1,8 nel resto dell’economia (fonte: XII Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare 2024 a cura di Osservatorio Nazionale sull’Economia del Mare Ossermare e Centro Studi Tagliacarne, Unioncamere). Numeri da capogiro in Italia, anche per il Sud dove, nel complesso, si verifica un importante miglioramento. Nella fattispecie, il Sud Italia consolida il suo primato di area a maggiore produzione di valore aggiunto con quasi 21 miliardi di euro di produzione diretta, pari a circa un terzo dell’intero “prodotto blu” nazionale. Lo stesso vale per l’occupazione, concentrata per oltre il 37% al Sud, nonché per le imprese, che addirittura superano nel Mezzogiorno le 111 mila unità, oltre il 48% dell’intera base imprenditoriale blu del Paese.

Ma la Calabria stenta. Fa fatica, con i suoi 800 km di costa, ad occupare posizioni nella classifica iridata delle filiere afferenti all’economia del mare. Nessuna delle “famigerate” filiere ovvero Cantieristica, Movimento Merci e passeggeri, attività Sportive e ricreative, filiera del Turismo e quindi ricettività e ristorazione, apparirebbero e verrebbero menzionate tra le top 5 e le top 10 delle location più zelanti del panorama Nazionale. Se non fosse per il fatto che la Calabria è più simile ad un’isola, quasi interamente circondata dal mare, i dati raccolti ed elaborati dall’Istituto Tagliacarne, Ossermare e Unioncamere ci starebbero anche bene. Ma non può essere così.

Economia del mare, in Calabria stenta a decollare

Analizzando i nomi delle Città, Province, Regioni che producono e sviluppano numeri importanti attraverso le filiere dell’Economia Del Mare, si evince che nelle stesse sono presenti strutture portuali e retro- portuali efficienti, attrezzate, innovative, sicure, tali da poter consentire fiorenti economie sull’intero indotto.  Sicuramente le cause del contesto calabrese ricadono su problemi atavici come, in primis, infrastrutture insufficienti e inadeguate. Aree portuali e retro-portuali non sempre all’altezza delle aspettative, sebbene ci siano porti turistici e commerciali a livello Nazionale. Alcuni porti necessitano di lavori di ordinaria manutenzione e non consentono neanche l’accesso all’interno dell’area a causa di insabbiamento, altri necessitano di lavori di straordinaria manutenzione al fine di aumentare il numero e la qualità di posti barca, ampliando cosi l’offerta turistica. Le attrezzature per lo stoccaggio, per il trasporto merci o passeggeri risulta obsoleto e, in alcuni posti, addirittura assente, per non parlare poi di strutture con zero barriere architettoniche per portatori di handicap. Tutto ciò penalizza la crescita del settore e l’intero indotto, trainante per l’economia del mare: parliamo di diporto, cantieristica, attività sportive, servizi turistici annessi, ristorazione e ricettività, perché, giova ricordarlo, il porto è una porta d’ingresso per la crescita ed il benessere di un territorio.

Bisogna, inoltre, essere competitivi nei confronti dei nostri vicini. La Campania, la Sicilia e la Puglia sono più avanzate negli sviluppi dell’economia del mare grazie a maggiori investimenti in infrastrutture, logistica e innovazioni e quindi riescono ad attrarre investitori e ad aumentare l’offerta turistica.

Non esiste una rete Portuale efficiente ed efficace, non esistono sinergie e non esiste una filiera di coordinamento che comprenda pesca, turismo costiero, cantieristica e trasporti, tale da ottimizzare queste attività strettamente legate tra loro e che offrono, individualmente, sostentamento ai piccoli imprenditori del settore.

Tanti sono i progetti avviati, come la nuova dimensione subacquea, la valorizzazione delle aree marine protette, i turismi sostenibili che iniziano a produrre risultati, ma limitati rispetto alle potenzialità del territorio. Così come il risultato della Calabria che contribuisce per il 3-4 % del valore aggiunto Nazionale derivante dall’economia del mare, un dato che evidenzia come il settore sia ancora indietro rispetto alle altre regioni, soprattutto quelle limitrofe.

“Lo scoglio più grande resta la burocrazia ferraginosa”

Lo scoglio più grande resta, probabilmente, la burocrazia, atavica e farraginosa. Anche se armati di tanta buona volontà, non sempre le politiche regionali e locali sono riuscite a promuovere efficacemente il settore forse perché non è mai stato considerato come asset strategico per il rilancio dell’economia regionale e locale a causa di tante difficoltà, a partire dal risanamento di situazioni demaniali ancestrali, alla mancanza di progetti, al mancato accesso ai finanziamenti europei, alla mancanza di formazione specializzata, alla mancanza di aggiornamenti e di innovatività.

Siamo giunti alle porte della puntuale stagione estiva, conclude il Presidente Imperiale, e tutti gli operatori, come da protocollo “solidamente” improvvisato nel corso del tempo, si preoccupano e cercano di capire, individualmente, come poter affrontare la stagione o meglio come sbarcare il lunario, che, da anni, consente loro di produrre un reddito assicurandosi, con non pochi sacrifici, una continuità economica per il resto dell’anno.

Un modus operandi che nel corso del tempo si è dimostrato approssimativo, che ha portato solo precarietà al settore.

Dobbiamo fare in modo che il tessuto imprenditoriale turistico non si appiattisca, non perda fiducia nel sistema e non mortifichi di conseguenza quei territori con infinite potenzialità, inoculando antidoti contro l’incompetenza e la miopia e cercando di snellire il cammino di chi, negli anni, con tante difficoltà, ha fatto sì che l’Italia primeggiasse e dettasse le regole nel panorama mondiale del turismo, ovvero gli unici e soli operatori ed addetti del settore turistico”.

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