La ‘ndrangheta a tavola: affari d’oro nei locali di Milano, condanne fino a 18 anni per il clan Piromalli

Una indagine che ha azzerato una sorta di "un piano espansionistico" portato avanti dal clan calabrese con diverse attività di ristorazione in città

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MILANO – Con le condanne di oggi vengono certificate le infiltrazioni della cosca dei Piromalli anche nel settore della ristorazione e dei locali della movida milanese, come quelli all’interno del Mercato comunale del quartiere Isola, una tra le zone più frequentate negli ultimi anni nel capoluogo lombardo. Stamane infatti la gup di Milano Daniela Cardamone, accogliendo la ricostruzione della pm della Dda milanese, Silvia Bonardi, ha inflitto pene che vanno dai 2 anni e 8 mesi ai 18 anni e ha disposto un risarcimento di 2 milioni di euro per danno patrimoniale e di immagine al Comune. La decisione è arrivata al termine del processo in abbreviato nei confronti di nove imputati, tra cui il presunto boss Salvatore Giacobbe, i suoi due figli, Angelino e Vincenzino, e Agostino Cappellacci, ritenuto vicino alla potente famiglia di Gioia Tauro. Inoltre sono stati confiscati immobili in provincia di Mantova, di Lecco e a Gioia Tauro, due orologi per un valore di 57 mila euro e le quote delle società Masseria e La Masseria, che gestiscono una bottega alimentare all’interno del Mercato comunale. Le accuse a vario titolo sono associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e intestazione fittizia di beni, reati aggravati dal fatto di aver agevolato la ‘ndrangheta e pure traffico di rifiuti.

Il piano espansionistico dei Piromalli su Milano

I nove sono tra i 13 arrestati a maggio dell’anno scorso dal Gico del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf – in quattro hanno scelto il rito ordinario – nell’ambito di una indagine che ha azzerato una sorta di “un piano espansionistico” portato avanti, tramite i loro referenti, dai Piromalli che in passato avevano tentato, per esempio, di mettere le mani sull’Ortomercato. Piano nel quale i Giacobbe, a seconda del settore che puntavano a controllare, si sarebbero interfacciati con altri clan e altre mafie. Per esempio con i Casalesi, quando si è trattato di fare affari con il traffico illecito di rifiuti. Oltre all’immondizia, alle estorsioni – in particolare per il recupero crediti – e alle truffe ai danni delle agenzie del lavoro interinali, redditizia è stata soprattutto l’infiltrazione nel tessuto della ristorazione, attività gestita da Cappellaccio, condannato oggi a 5 anni e 8 mesi, con La Masseria, bottega di prodotti alimentari, Granum, pizzeria d’asporto, la pescheria Piscarius e il Beats Bar di via Borsieri, ristoranti in via Fiamma e in via Galilei, e altri locali per i quali in gran parte era stato nominato un amministratore giudiziario.

L’indagine ha tratteggiato anche le dinamiche del gruppo mafioso con il capo, Salvatore Giacobbe, 72 anni, che oltre a tenere i rapporti con la ‘casa madre’, ossia Girolamo Piromalli (non indagato in questa indagine della dda milanese), distribuiva i compiti ai suoi sottoposti “a seconda delle specifiche capacità”. Sottoposti tra cui i due figli, Angelino a cui sono stati inflitti 13 anni e Vincenzo (10 anni e 4 mesi) e Giovanni Caridi (10 anni e 8 mesi) e Livio Pintus (10 anni e 8 mesi), tra coloro che sarebbero stati incaricati nel recupero crediti”

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