Sfruttavano i migranti con ‘trattamenti inumani e degradanti’. Tra i 4 arrestati anche un calabrese
Tra i quattro finiti in cella, nell'operazione dei carabinieri di Rimini c'è anche il calabrese Giuseppe Troiano, a carico del quale sono emersi anche contatti con la criminalità organizzata
BOLOGNA – Tra i quattro finiti in cella, nell’operazione dei carabinieri di Rimini con 12 misure cautelari per per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento dei lavoratori e della prostituzione, c’è Giuseppe Troiano, calabrese, a carico del quale sono emersi anche contatti con la criminalità organizzata. Secondo il Gip del Tribunale di Rimini Troiano attraverso diverse società da lui gestite – una delle quali titolare di un albergo a Pennabili (Rimini), con amministratore il cognato, Pietro Briamonte, anche lui finito in carcere – era in grado di organizzare il “sistema ben collaudato” per presentare domande di assunzione fittizie dei cittadini extracomunitari.
Gli stranieri, che pagavano fino a 6mila euro per ottenere il permesso di soggiorno, venivano ‘ospitati’ in un complesso alberghiero a Bellaria Igea Marina, riconducibile ad una società il cui proprietario e amministratore unico era Briamonte, che secondo gli investigatori però anche in questo caso era solo un prestanome di Troiano. Nelle stanze fatiscenti e non adatte ad accogliere i turisti, venivano infatti sistemati i cittadini stranieri che pagavano fino a 300 euro mensili e venivano impiegati nelle più svariate attività lavorative. In alcuni casi, sottolinea il Gip, il trattamento riservato ai lavoratori “in evidente stato di bisogno e clandestini, era decisamente inumano e degradante”.
Figure di rilievo, secondo le indagini, erano anche un dipendente dell’Inps di Rimini, ora ai domiciliari, che favoriva le pratiche di accesso ai contributi e sussidi statali, un commercialista con studi a Rimini e a Pesaro, (anche lui ai domiciliari), che era a conoscenza delle intestazioni fittizie delle imprese riconducibili a Troiano e presentava le domande fittizie per il rilascio dei nulla osta nell’ambito del decreto flussi 2020. E infine una dipendente di un patronato di Rimini, anche lei finita ai domiciliari, che aiutava a presentare le domande, pur sapendo della falsità dei contratti di lavoro.