La rimozione della statua di Giacomo Mancini: tra psicoanalisi politica e strategie elettorali
Tra strategie elettorali, eminenze grigie e simbolismi freudiani, la scelta del sindaco Caruso divide e lascia interrogativi irrisolti
COSENZA – La recente decisione del sindaco di Cosenza, Franz Caruso, di rimuovere la statua di Giacomo Mancini dal piazzale antistante il Municipio ha suscitato un acceso dibattito nella comunità locale. La statua, realizzata dallo scultore Domenico Sepe e collocata nel 2022, rappresenta un omaggio all’ex sindaco e leader socialista che ha guidato la città per un decennio, lasciando un’impronta indelebile nella storia di Cosenza.
Il sindaco Caruso ha motivato la sua decisione con l’intenzione di installare nuove opere d’arte donate dalla famiglia Bilotti nell’ambito del Museo all’aperto Bilotti (MAB), progetto che mira a valorizzare l’arte nel centro cittadino. Tuttavia, questa scelta ha sollevato interrogativi, soprattutto considerando che lo stesso Caruso, attraverso una delibera di Giunta nel 2022, aveva approvato l’attuale collocazione della statua.
La Fondazione Giacomo Mancini, presieduta dal figlio Pietro, ha espresso profondo disappunto, definendo la decisione “un’offesa per tutti i cosentini”. La statua, frutto di donazioni cittadine, è vista come un simbolo di identità e appartenenza per la comunità. La richiesta del sindaco di suggerire una nuova collocazione entro dieci giorni, con la possibilità di restituzione in caso di mancato riscontro, ha ulteriormente alimentato le polemiche. In risposta alle critiche, il sindaco Caruso ha dichiarato che non vi è alcuna volontà di “sfrattare” la statua, ma solo di spostarla in una posizione più adeguata, rispettando la toponomastica cittadina e le convenzioni legate al MAB. Ha proposto, infatti, di ricollocare la statua in Piazza Giacomo Mancini, ritenendo che tale soluzione dia maggiore dignità al personaggio e alla zona.
Al di là delle motivazioni ufficiali, tuttavia, la decisione del sindaco socialista Franz Caruso di rimuovere la statua di Giacomo Mancini dal piazzale antistante il Municipio di Cosenza appare non solo controversa, ma profondamente incomprensibile. La figura di Mancini è parte integrante del DNA culturale, politico e antropologico della città. Leader socialista di rilievo nazionale, uomo di governo e sindaco che ha lasciato un segno indelebile, Mancini ha sempre portato Cosenza al centro della sua agenda politica e personale. La sua statua, più che un simbolo, rappresentava un pezzo di memoria collettiva per una comunità che non ha mai smesso di riconoscerlo come uno dei suoi più grandi riferimenti.
Con Franz Caruso, dopo la lunga parentesi amministrativa di Mario Occhiuto, un socialista era tornato alla guida della città, creando l’aspettativa di una continuità con quell’eredità politica e storica. Eppure, la scelta di rimuovere la statua – per quanto giustificata dalla volontà di far spazio a nuove opere d’arte nell’ambito del Museo all’aperto Bilotti (MAB) – sembra sfidare questa aspettativa, generando inevitabilmente reazioni contrastanti e domande sui reali motivi dietro questa decisione. Se anche la scelta fosse stata presa in buona fede, appare sorprendente come non si sia tenuto conto delle inevitabili conseguenze emotive e politiche di un atto così simbolico. Sarebbe bastato, per esempio, coinvolgere la cittadinanza attraverso una consultazione pubblica o un referendum, un passo che avrebbe almeno legittimato democraticamente una decisione così divisiva.
Tuttavia, le motivazioni ufficiali non bastano a fugare il sospetto che dietro questa scelta si nascondano ragioni più profonde e meno dichiarate. In città si mormora che Franz Caruso non sia stato del tutto autonomo nella decisione e che dietro questa vicenda si intravedano le ombre di due figure politiche ben note: Luigi Incarnato, segretario regionale di un microscopico partito socialista, e Nicola Adamo, l’eminenza grigia della politica cosentina, da molti considerato il vero regista della giunta Caruso. Entrambi, peraltro, sono i principali sponsor di una possibile candidatura di Caruso alla presidenza della Regione Calabria, e questa vicenda potrebbe essere parte di una strategia per costruire consenso intorno a tale prospettiva.
Ma quale strategia politica si celerebbe dietro una mossa apparentemente così autolesionistica? C’è chi ritiene che il gesto tradisca una volontà di ridimensionare l’eredità di Mancini per affermare una nuova leadership, e chi, invece, intravede dinamiche più personali, quasi freudiane. Non era un segreto, infatti, che Giacomo Mancini nutrisse una scarsa considerazione per alcuni esponenti della sinistra post-comunista, tra cui Nicola Adamo, e forse oggi si assiste a una sorta di “uccisione simbolica del padre”, un rigurgito di complessi irrisolti che si mescola a tatticismi elettorali e personalismi politici.
In ogni caso, la vicenda non può che lasciare perplessi. Rimuovere la statua di un simbolo come Mancini – un gesto che poteva essere gestito con più tatto e partecipazione – finisce per apparire come un errore strategico o, peggio, come il frutto di manovre opache. Alla fine, resta una città divisa e un vuoto davanti al Municipio che risuona di domande inevase.