I caregiver esistono. Anche se la legge italiana ancora non lo sa

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Si occupano ogni giorno, a tempo pieno, di badare ai familiari disabili. La loro vita è fatta di medici, medicine, pannolini, cateteri e privazioni. Il calvario di una figura ad oggi ignorata

 

ROMA – Sembrava fatta. E invece no. La legge che doveva garantire un sostegno, finalmente, a chi si occupa di un familiare disabile in casa, resta ancora al palo. Con grande delusione dei diretti interessati. E anche grande disinteresse per tutti gli altri, diciamolo chiaramente. A cominciare da quel mondo politico che non vede alcun ritorno dall’aiutare disabili e familiari. Loro, i disabili, raramente votano. E i loro familiari hanno ben altro a cui pensare. Molto più proficuo il dedicarsi allo “Ius Soli”, altra sacrosanta battaglia, certo, ma che apre uno spiraglio a nuovi elettori “grati”. Ed è meglio perfino creare movimenti politici che si rivolgono agli amanti degli animali. Cosa giusta. E sono anche altri voti utili. Ma i disabili e chi li cura ogni giorno, con amore, con dedizione, con sacrifici, interessano davvero a qualcuno?

 

La senatrice Laura Bignami, ex Cinquestelle, poi nel Gruppo Misto, ha speso tanto tempo ed energie per scrivere una legge. E in Commissione Bilancio è stato approvato, all’unanimità, il Fondo per i caregiver familiari. Un fondo da 20 milioni di euro annui, per tre anni. Sembrava fatta. Bastava un nonnulla. E c’era anche un emendamento per l’anticipo dell’età pensionabile di un anno ogni cinque di servizio prestato come caregiver. Non sarebbe stata una legge perfetta, ma sarebbe stata una buona legge. Purtroppo, non è bastata la buona intenzione.

 

Eppure ormai eravamo arrivati al Senato. Ormai si vedeva il traguardo. Ma era un miraggio. E così, chi ha un familiare che non è autosufficiente deve continuare ad elemosinare. Al Comune, alle Province (per quello che ancora possono fare…), alla Regione. Che non capiscono come sia difficile vivere, o meglio sopravvivere, non avendo una sola persona a cui badare, se stessi, ma dovendo pensare sempre per due. I bisogni primari, il cibo, i vestiti, le medicine? Per due. Anche senza lavorare, anche senza avere un reddito, perchè quel “per due” vuol dire che non puoi avere un’altra occupazione. La tua unica occupazione è la persona a cui devi badare. Che non vivrebbe affatto, senza di te. E vuol dire, in molti casi, non avere tempo. Tempo per mangiare, tempo per dormire. Tempo per pensare. Hai solo un unico pensiero, per tutto il giorno. Per tutta la notte. L’altra persona. Che vive grazie a te. E l’orologio scandisce solo i momenti giusti per la medicina, per il prelievo del sangue, per la flebo. E intanto, per farla vivere, quella persona, tu lentamente ti spegni. Perdi i contatti con i parenti, che ti evitano. Tu sei quello scomodo, che non puoi invitare alle feste o a pranzo. Devi portare anche l’altra persona. Poi dà fastidio. E’ un problema.

 

Perdi i contatti col mondo del lavoro. Conosci solo medici e medicine. Ausili, pannolini, cateteri. Diventi medico ed infermiere. Ma non sei neanche riconosciuto in questo ruolo, naturalmente. Non sei riconosciuto in nessun ruolo. Sono fatti tuoi se tuo marito, tuo figlio, tua madre o tua sorella non sono autosufficienti. Chiedi una pensione. Ecco. Per loro. Qualche centinaia di euro e la “società” si mette la coscienza a posto. E tu, che li assisti, devi centellinare ogni soldo, per loro, per aiutarli a vivere una vita che è stata costruita a misura dei “normali”. E la tua vita, intanto, diventa un inferno. Sempre chiusi in casa, con la tv come unica finestra sul mondo.

 

Quel mondo che ti resta negato. Perchè sei una persona diversa. Certo. Lo sei anche tu. Sei nella cerchia dei “caregiver familiari”. Novelli lebbrosi. Degni di qualche servizio giornalistico nei giorni di festa. Poi gettati nel dimenticatoio. Perchè i problemi seri sono altri. Sono sempre altri. E non riguardano mai queste persone. Che io continuo, ostinatamente, a chiamare “persone”. Ma che in molti credono siano solo oggetti. Da sistemare da qualche parte. Da nascondere come quel soprammobile non gradito che ti hanno regalato a Natale. Ma queste, invece, sono persone. E io ammiro ed ammirerò sempre chi le cura. E trova perfino un motivo per sorridere, semplicemente guardandole. Nonostante le difficoltà di ogni giorno. Nonostante il parcheggio “rubato”, gli ascensori rotti, i marciapiedi senza scivolo, i ristoranti non attrezzati. I tanti diritti negati. E le occhiate di commiserazione della gente “normale”. Pugnalate in pieno petto.

 

Il prossimo governo, che nascerà dopo le elezioni di marzo, spero davvero che ci sorprenda. Potrebbe decretare la nascita di una nuova speranza per i caregiver familiari. Io vorrei tanto che negli impegni dei prossimi candidati al parlamento, tutti, ci fosse, sopra gli altri, un vero intento per portare alla conclusione questa vicenda. I caregiver familiari esistono. Non fanno cortei, non manifestano in piazza. Non urlano. Ma esistono. Respirano. Hanno bisogno di sentirsi persone e che i loro cari, non autosufficienti, siano considerati delle persone. Se riceveranno un giusto riconoscimento economico, non porteranno certo i soldi all’estero. Li spenderanno tutti. Fino all’ultimo centesimo. Perchè ne hanno bisogno. Una legge che li riguardasse, paradossalmente, metterebbe in circolo nuovo denaro. Farebbe “economia”. La cosa più importante, a quanto pare, in un mondo in cui, ormai, sembra che l’unica molla siano i soldi. L’economia. Il PIL. La crescita. Ci scordiamo che, alla fine, qualunque cosa abbiamo di qua, in vita, dovremo lasciarla, un giorno. E che la più grande ricchezza che mai potremo avere è un sorriso. Che ti fa stare bene. Auguri ai caregiver familiari.

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