”Ammazzo tutti” latitante si barrica in un ufficio postale, dipendenti in ostaggio

Nei giorni scorsi l’uomo sottrattosi all’ordine di carcerazione è stato condannato a 19 anni di reclusione nel maxi-processo Aemilia sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel nord Italia

 

REGGIO EMILIA – “Vi ammazzo tutti” ha urlato terrorizzando clienti e lavoratori. Trattative in corso per scongiurare il peggio. Dalle 8:30 di stamattina è asserragliato in un ufficio postale l’imputato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso pochi giorni fa nel maxi-processo di ‘Ndrangheta ‘Aemilia’, da allora irreperibile. Barricato nella filiale di Pieve Modolena, frazione di Reggio Emilia, di Poste Italiane brandisce un coltello da cucina. Dai primi accertamenti avrebbe fatto uscire tutti i clienti, tenendo in ostaggio cinque dipendenti, tra i quali la direttrice. Sul posto le forze dell’ordine che hanno chiuso le strade e stanno tentando di interloquire con l’uomo. Si tratta di Francesco Amato condannato a 19 anni di reclusione nei confronti del quale pendeva un ordine di carcerazione a cui si era sottratto lo scorso 31 ottobre. La parte della via Emilia dove si trova la filiale delle Poste è stata evacuata, e sono stati creati due punti di sbarramento ai lati. Amato è cliente dell’ufficio postale, dove è soliti andare a pagare le bollette, tutti lo conoscevano a causa di una menomazione fisica che ha a una mano.

“Sono quello condannato a 19 anni in Aemilia”. Sono le parole che Francesco Amato avrebbe pronunciato questa mattina entrando nell’ufficio postale di Pieve Modolena di Reggio Emilia. All’esterno della filiale, carabinieri, polizia e il pm Iacopo Berardi, con il procuratore capo Marco Mescolini. I contatti sarebbero tenuti con l’uomo dai carabinieri, in particolare da un militare, sulla soglia dell’edificio, che fa da tramite mentre si valuta l’intervento di forze speciali. Una dei cinque dipendenti dell’ufficio Postale di Reggio Emilia presi in ostaggio dal condannato Francesco Amato, una cassiera di 54 anni, è stata fatta uscire dalla filiale su ordine di Amato affinché fosse soccorsa dopo aver avvertito un malore. Appena fuori, la donna ha avuto un mancamento ed è stata soccorsa dal personale del 118. Il condannato del processo Aemilia Francesco Amato ha chiesto, tra le altre cose, di poter parlare con il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Prosegue intanto la trattativa con le forze dell’ordine, all’esterno dell’ufficio postale dentro cui Amato si è asserragliato facendo uscire tutti i clienti e prendendo in ostaggio i dipendenti.

 

I PARENTI: “NON E’ CATTIVO”

“Mio zio non è una persona cattiva. Mi dispiace per le povere persone lì dentro. Lo sta facendo perché pensa di aver avuto una condanna ingiusta. Non è colpevole, lo ha fatto perché è innocente”. Così la nipote di Francesco Amato, ha parlato, fuori dall’ufficio postale di Pieve Modolena del gesto del parente. “Lui non fa male a nessuno, vuole solo giustizia. Lui è invalido dalla mano destra: 19 anni di galera è chiaro che il sangue bolle. Non sapevamo nulla di quello che avrebbe fatto, ma non è cattivo”, ha detto invece il cognato dell’imputato condannato per Aemilia. Un’azione dimostrativa contro una condanna ingiusta. Sarebbe questo il motivo che ha spinto Francesco Amato a entrare armato di coltello in ufficio postale alle porte di Reggio Emilia e a prendere in ostaggio cinque donne, quattro dipendenti e la direttrice. Lo ha spiegato un fratello di Amato, giunto sul posto, durante le trattative con le forze dell’ordine. Si tratta di un familiare che non è stato imputato nel processo Aemilia.

 

“Siamo chiusi dentro. Il signor Amato vuole parlare con Salvini. Lo vedo. Sono all’interno, il signor Amato sta parlando: vuole Salvini. Parla con i Carabinieri, con noi. Ha un coltello in mano. Io lavoro qui; siamo in quattro. Il signore è qui da parecchie ore. Ha detto che se apriamo la porta qualcuno fa una brutta fine e quindi siamo trincerati dentro”. Così uno degli ostaggi, un’impiegata dell’ufficio postale di Pieve Modolena.  Francesco Amato é originario di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria fu arrestato, nell’ambito dell’operazione “Aemilia”, il 28 gennaio del 2015 e rinviato a giudizio il 21 dicembre dello stesso anno. Alla fine del processo, il 31 ottobre scorso, é arrivata per lui la condanna a 19 anni ed un mese di reclusione con l’accusa di essere stato uno degli organizzatori dell’attività delle cosche di ‘ndrangheta in Emilia-Romagna.

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