Sequestrati beni 3 milioni di euro ad un soggetto legato alla ‘ndrangheta
Il sequestro della guardia di finanza ad un soggetto imputato per riciclaggio e reati tributari, aggravati dal fine di agevolare un'associazione di stampo 'ndranghetistico
MILANO – Immobili a Milano e provincia e denaro sui conti correnti. Un tenore di vita lussuoso, e decisamente sproporzionato rispetto al reddito dichiarato. La guardia di finanza di Milano ha eseguito questa mattina, un decreto di sequestro preventivo di beni per un valore complessivo di 3 milioni di euro. Nel mirino delle fiamme gialle Pasquale Puglia, imputato per riciclaggio e reati tributari, aggravati dal fine di agevolare un’associazione di stampo mafioso, e già in passato condannato in primo grado dal Tribunale di Catanzaro per associazioni di tipo mafioso (articolo 416-bis del codice penale).
Gli accertamenti traggono origine dalla valorizzazione degli esiti giudiziari di precedenti attività investigative svolte nei confronti del proposto, ritenuto al vertice di un sodalizio criminale dedito alla commissione di plurimi reati tributari e fallimentari nonché a condotte di illecita somministrazione di manodopera, che avrebbero generato proventi poi confluiti verso una cosca di ‘ndrangheta alla quale il soggetto è legato da vincoli familiari.
Le indagini hanno consentito di rilevare, nell’arco temporale interessato dalla manifestazione della pericolosità sociale, una sensibile sproporzione tra i redditi dichiarati dal soggetto proposto e il suo tenore di vita. In particolare, è stato accertato l’acquisto e il possesso di immobili ubicati a Milano e provincia, nonché di disponibilità liquide su conti correnti, incompatibili rispetto alle disponibilità lecite attribuibili al nucleo familiare, per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro.
Case a Milano e vita nel lusso: sequestro da 3 milioni di euro.
Stando agli atti giudiziari, Puglia avrebbe gestito, come riportato nelle imputazioni, “cooperative di servizi” in Lombardia, della società Ste, con sede a Gorgonzola, nel Milanese, della Lavoro Italia e della società Argentea, “per conto della cosca e in particolare” per Leonardo Melluso. E avrebbe “imposto” la manodopera, facendo giungere poi i “proventi” illeciti delle attività al clan.