Operazione “Ten” contro la ‘ndrangheta a Reggio Emilia, cinque misure cautelari
Il blitz della Squadra Mobile e della Guardia di Finanza reggiana ha portato anche all'esecuzione di 19 perquisizioni. Cinque le persone finite in carcere
REGGIO EMILIA – E’ scattata alle prime ore di oggi, l’operazione ribattezzata Ten, eseguita dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, con l’ausilio del Servizio Centrale Operativo e della Squadra Mobile di Bologna e Crotone, unitamente a militari della Guardia di Finanza reggiana. In corso d’esecuzione 19 perquisizioni nelle province di Reggio Emilia, Modena, Parma, Crotone, nel cui contesto sono state eseguite 5 misure cautelari personali in carcere per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e altro.
I provvedimenti restrittivi sono stati emessi sulla base degli esiti di una lunga e complessa indagine nei confronti di esponenti del sodalizio mafioso di tipo ‘ndranghetista operante in Emilia Romagna ed avente quale epicentro la città di Reggio Emilia.
Armi, estorsioni e truffeÂ
Attestata l’esistenza e l’operatività , nell’alveo della cosca ‘ndranghetistica emiliana, del gruppo mafioso “Arabia”, sodalizio caratterizzato dall’ampia disponibilità di armi e dedito alle estorsioni, alle truffe, nonché alla ricettazione di beni provento di furti a ditte di autotrasporto, commessi al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa.
Il capo del sodalizio, già condannato con sentenza passata in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso e il cui fratello è stato ucciso nel 2003 a Steccato di Cutro nel corso della guerra di mafia, operando in sinergia con i suoi sodali, ha posto in essere condotte tipicamente mafiose, con l’adozione di modalità violente e comunque intimidatorie, sia a scopo ritorsivo e punitivo, sia per imporre, con la forza di intimidazione promanante dall’appartenenza al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, la propria volontà . Tra l’altro, nell’agire con metodo mafioso, il gruppo ha dimostrato di disporre anche di armi, custodite in luoghi nascosti grazie alla complicità dei sodali. In una circostanza, nel corso delle indagini, la Polizia di Stato ha sequestrato un fucile, abilmente occultato all’interno di un gommone custodito all’interno di un camion, su cui era stato caricato del tutto all’insaputa del trasportatore.
Frodi fiscaliÂ
Ulteriori approfondimenti investigativi, svolti con l’ausilio della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, hanno permesso di ricostruire numerose frodi fiscali, confermando, ancora una volta, come il sodalizio ‘ndranghetista operante in Emilia sia anche specializzato nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il meccanismo fraudolento posto in essere dagli indagati mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un totale di € 1.802.930,93 nei confronti, in particolare, di n. 12 principali società utilizzatrici, ha fruttato in pochi anni al sodalizio criminale un guadagno pari ad € 326.435,07 quale prezzo del reato, somma oggetto di sequestro preventivo disposto dal GIP con l’ordinanza ed eseguito congiuntamente dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato. Contestualmente all’esecuzione del sequestro preventivo sono state perquisite anche le sedi di sei società , che, sulla base dei riscontri investigativi eseguiti, risultavano essere coinvolte nel sistema di frode.
In manette tre componenti della famiglia Arabia
Arresati Giuseppe Arabia, classe ’66’ detto “Pino u’ nigro‘, ritenuto a capo del sodalizio, già condannato con sentenza passata in giudicato per associazione a delinquere di stampo mafioso. È il fratello del boss Salvatore Arabia, ucciso nel 2003 a Steccato di Cutro nel corso della guerra di mafia tra le famiglie Grande Aracri e Dragone, omicidio per il quale il boss Nicolino Grande Aracri è stato condannato all’ergastolo. Salvatore Arabia – detto ‘Pett i’ Palumba’ era considerato infatti il luogotenente del boss Antonio Dragone. Insieme a Giuseppe, sono finiti in carcere anche i nipoti Giuseppe classe ’89 e Nicola Arabia classe ’85, figli di Salvatore. Misure cautelari anche nei confronti dei sodali Salvatore Messina, Salvatore Spagnolo e Giuseppe Migale Ranieri, classe ’78 (omonimo del suo avvocato del foro di Reggio Emilia).