Delitto Festa, il gup motiva la sentenza contro Tolmino: «Omicidio premeditato»

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LUZZI – Premeditazione. Adriana Festa, la 30enne, uccisa a Luzzi dal suo compagno Emilio Tomino, non fu ammazzata, in un raptus d’impeto, al termine di una llite furibonda tra i due, ma venne “annientata” con premeditazione. Lo ha stabilito il gup del Tribunale di Cosenza, Francesco Luigi Branda, motivando così la sentenza di condanna, a 18 anni di reclusione, nei confronti di Tolmino.

L’uomo, 56anni, autista in servizio presso le Ferrovie della Calabria, l’8 settembre dello scorso anno, all’interno di un appartamento in via San Francesco a Luzzi, consumò, secondo il gup, con lucidità e premeditazione il delitto della sua compagna. Per quel delitto, Emilio Tolmino, difeso dagli avvocati Fabio Bonofiglio e Franco Napolitano, penalisti del foro di Cosenza, come detto, è stato condannato a 18 anni di reclusione. Il verdetto di colpevolezza a suo carico venne vergato “in nome del popolo italiano” lo scorso 7 giugno, con la formula del rito abbreviato. Una condanna che ha lasciato perplesso il pm Paola Izzo che, per il 56ene, aveva chiesto 30 anni di reclusione, per omicidio premeditato, stalking e maltrattamenti sul giovane figlio dell vittima di appena nove anni. Da qust’ultima accusa, però, il giudice per le udienze preliminari l’aveva assolto, perchè il fatto non sussiste. Se la condanna non è piaciuta alla pubblica ccusa, ancora di meno è andata giù ai dfensori di Tolmino. I due penalisti, infatti, hanno deciso di impugnare la sentenza dinanzi ai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro. I due avvocati, infatti, ritengono che «già in primo grado è stata correttamente ridimensionata l’ipotesi accusatoria con l’assoluzione di Tolmino in relazione all’ipotesi del maltrattamenti sul piccolo figlio di Adriana Festa». A detta dei due legali «restano comunque evidenti contraddizioni nella motivazione del gup, soprattutto per quanto riguarda lo stalking e l’aggravante della premeditazione contestati al Tolmino e per questo stiasmo già lavorando all’Appello, cercando di evidenziare e mettere in risalto la reale dinamica degli eventi e di fare in modo che il nostro assistito possa essere condannato a pagare le sue colpe solo per ciò che ha fatto e non per le fantasiose ipotesi di reato, fondate solo sulle dichiarazioni di un soggetto, mosso da evidenti motivi di rancore nei confronti di Tolmino e – concludono i due penalisti – prive di alcun riscontro oggettivo»

IL GRANDE ACCUSATORE: E’ l’uomo con il quale Adriana Festa aveva deciso di intraprendere una nuova relazione. Nel corso delle indagini questo teste ha dichiarato agli inquirenti che Tolmino aveva pesantemente minacciato sia lui che la Festa. Il teste, dichiarando che aveva conosciuto Adriana in casa della sorella di lei, e confermando che i due avevano intenzione di intraprendere un percorso di convivenza per poi sposarsi, ha riferito di aver assistito a numerosi litigi telefonici tra Tolmino e la vittima e a pesanti minacce di morte che lo stesso aiutista avrebbe rivolto nei confronti dlela Festa.

L’OMICIDIO: Erano circa le undici quando Emilio Tolmino, 55 anni di Luzzi, autista delle Ferrovie della Calabria, in preda ad un raptus di follia sparò tre colpi mortali all’ex convivente Adriana Natalia Festa, 30, di origini argentine con nazionalità italiana. L’omicidio si consumò in un appartamento di via San Francesco di Paola numero 94, nel Rione Alfia, alle porte del centro storico del paese, ubicato al pianterreno e in uso all’assassino, dove la coppia aveva vissuto per un paio di anni. Poi la decisione, da parte di lei pare, di interrompere la relazione. Tolmino, separato e padre di due figli, dopo aver ucciso la donna era rimasto sul luogo dell’omicidio; aveva telefonato ad un suo amico carabiniere e poi al suo avvocato di fiducia, Luigi Antonio Ippolito, del foro di Cosenza. Proprio l’avvocato giunto per primo ha trovato il portone del palazzo aperto e la porta d’accesso dell’abitazione socchiusa. Poi sono arrivati i carabinieri i quali entrati, hanno trovato il dipendente delle Ferrovie della Calabria seduto a margine del letto, con la testa tra le mani e una pistola calibro 7.65 al suo fianco. Poco distante c’era il corpo senza vita della giovane Adriana. Colpita a morte, è caduta verso il letto pancia in avanti, rimanendo con le ginocchia piegate sul pavimento. Emilio Tolmino si era così consegnato ai carabinieri che hanno eseguito tutti i controlli del caso, recuperando i bossoli, rilevando le varie tracce ematiche e dattiloscopiche ed effettuando, infine, il classico esame stub. Nel corso di una perquisizione sono stati trovati e posti sotto sequestro, oltre all’arma del delitto, tre fucili da caccia, regolarmente denunciati. Tolmino, infatti, era un appassionato di caccia. Anche la calibro 7.65 era legalmente detenuta. Sulla scena del delitto, i carabinieri recuperarono pure alcuni abiti, in uso al dipendente Fdc, intrisi di sangue. Pare, infatti, che subito dopo l’omicidio l’uomo si fosse cambiato. L’assassino non aveva precedenti penali. Tutti lo descrivono come una brava persona e pare che lui e la vittima si fossero lasciati senza alcun problema. Una tragedia scaturita da una relazione intensa, rafforzata dall’amore e dal sentimento paterno che Emilio Tolmino ha sempre riservato per il figlioletto della giovane compagna, Adriana, figlia di luzzesi emigrati in Argentina, arrivata a Luzzi una decina di anni fa mentre era ancora in attesa del figlio per stabilirsi insieme ai genitori. Una donna che per guadagnarsi da vivere, non disdegnava il lavoro da operaia agricola e da addetta alle pulizie domestiche.

L’INTERROGATORIO: Era stato sentito per un paio d’ore dagli inquirenti, Tolmino, il quale  aveva raccontato che la donna si era recata da lui con lo scopo di salutarlo per l’ultima volta e riprendersi alcuni oggetti d’oro. Pare infatti che Adriana Festa fosse prossima a trasferirsi a Milano, dove viveva una sorella, e dove aveva conosciuto un’altra persona: «Non è stata però questa – aveva precisato l’uomo – la molla scatenante. Adriana stava cercando con insistenza una catenina d’oro, che le aveva regalato la madre. Non la trovava e aveva iniziato a rinfacciarmi che l’avevo presa io. Le risposi che l’aveva già presa a luglio, quando ci eravamo lasciati. Ma lei era andata a cercarla nell’armadio dove c’erano i fucili e la pistola. Abbiamo litigato, poi non so cosa mi è passato per la testa.Ho preso la pistola e ho sparato. E a dire che in camera da letto eravamo entrati tranquilli e abbracciati…».

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