COSENZA – Sangue killer all’Annunziata, la morte di Ruffolo, porta il Ministero della Salute tra i reparti del nosocomio cittadino.
Ieri gli ispettori del ministero e della Regione hanno eseguito un sopralluogo nel reparto di medicina trasfusionale dell’Ospedale di Cosenza evidenziando notevoli criticità. E mentre dai democrat del PD calabrese chiedono la rimozione di Scopelliti dall’incarico di delegato del governo nel campo della sanità il responsabile del Centro Trasfusionale di Paola spiega l’iter per eseguire trasfusioni senza nuocere al paziente. “Non voglio entrare nel merito della morte del 75enne rendese, – afferma il dottor Antonio Rende – sarà la magistratura ad accertare le responsabilità. Io parlo solo di dati scientifici. La contaminazione batterica delle sacche di sangue normalmente contiene un rischio residuo per il paziente che va dal 0,002% all’1%. L’indice di mortalità legato a questa percentuale varia in base allo stato di salute del paziente. È ovvio che negli immunodepressi i germi, solitamente stafilococchi, streptococchi, yersina enterocolitica, o come nel caso del signor Ruffolo la serratia attecchiscono di più”. Ma come arrivano i batteri nelle sacche? “Dipende o dallo stato di salute del donatore o dalle procedure di disinfezione. Nel primo caso – spiega il responsabile del Centro Trasfusionale di Paola – se non si attua una selezione attenta della persona alla quale si preleva il sangue per le sacche, batteremie transitorie come una piccola infezione potrebbero rivelarsi estremamente pericolose per chi riceve la trasfusione perché potrebbero contaminare la sacca e proliferare al suo interno nel corso della conservazione. Poi c’è l’igiene. La non corretta disinfezione della cute in cui viene inserito l’ago o la non adeguata tecnica di venipuntura, ovvero per intenderci quando ‘si prende la vena’ potrebbero far sì che dalla pelle i germi vengano direttamente trasferiti nel sangue da conservare. Per questo vi sono delle accortezze da seguire, delle linee guida, dei protocolli sulla sicurezza sulla cui applicazione noi direttori siamo tenuti a vigilare. Per trascinare fuori eventuali germi, per esempio, è obbligatorio far fluire il primo sangue in una sacca satellite e poi raccogliere il resto nelle sacche delle trasfusioni. Per gli operatori è indispensabile lavare le mani che potrebbero essere contaminate con elevate cariche batteriche. La cute deve essere sempre sana e detersa, sia quella del donatore, sia quella dell’operatore. Da quanto è emerso pare che Cosenza sia successo che il sangue è stato infetto da sapone contaminato da serratia che è un batterio che si sviluppa dai 4° ai 40° in ambienti umidi. Ma il sapone era presente sulle mani, non sulla sacca. Il rischio c’è, è endemico, però se vigiliamo dalla vena del donatore a quella del ricevente si abbatte in maniera notevole. La medicina trasfusionale è la branca più regolamentata, più rigida, proprio per questa ragione. Purtroppo il sangue non si può fare in laboratorio, bisogna quindi stare molto attenti. Non si tratta di raccogliere funghi, ma un liquido biologico capace di determinare la vita o la morte di un uomo. Noi dobbiamo tutelare la salute del paziente, il sangue deve essere sicuro per tutti”.
