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Poltrone a rischio, in Calabria si prepara l’autunno caldo

Palazzo Campanella 1

Un doppio appuntamento pesante per il partito di Renzi: a Ottobre la Consulta deciderà sull’illegittimità costituzionale del Consiglio regionale e, visto che i guai non vengono da soli e nemmeno uno alla volta, si svolgerà il referendum sulla riforma della Costituzione.

 

 

COSENZA – I retroscena di Palazzo Campanella non sono bellissimi: la fifa dell’eventuale non rielezione serpeggia tra i consiglieri regionali, anche di minoranza. E, come se non bastasse, c’è il braccio di ferro referendario su cui Renzi gioca buona parte del proprio appeal politico. In caso di batosta il premier non si dimetterà comunque. Infatti, i guai, se i no risultassero superiori al previsto, saranno dei territori, non della leadership nazionale. Non è colpa di nessuno se i quesiti sono stati accorpati, in modo da appiattire le riforme – che prese singolarmente sono delicatissime e meriterebbero riflessioni approfondite, spesso fuori dalla portata del cittadino comune – su modalità da tifoseria calcistica: i “sì” pro-Renzi, i “no” contro. Tanto pagheranno i vertici locali del Pd.

Mario Oliverio

E proprio questo è il clima del Pd calabrese, dove la consultazione referendaria è considerata da non pochi un grimaldello per scardinare il sistema politico, rivelatosi vincente nel 2014, sorto dalla pace tra Nicola Adamo e Mario Oliverio, siglata, dopo il disastro del 2011, a partire dal 2013. Detto altrimenti, i franchi tiratori non mancano. Anzi, in molti oliano sin d’ora le armi e, chi può, si dota di mirini di precisione.

Nicola Adamo

 

Il bersaglio, a dirla tutta, è piuttosto facile: il renziano Ernesto Magorno, diventato prima deputato e poi segretario regionale proprio in seguito agli accordi tra i big cosentini. Purtroppo per lui, la pax tra i due big cosentini, che regge benissimo tuttora, ha funzionato solo per prendere la Regione. Tutto il resto, tranne la conquista di Reggio, ha fatto cilecca. E il caso più vistoso è Cosenza, già roccaforte della sinistra calabrese, tornata a Mario Occhiuto anche grazie, così sussurrano i maligni, al suicidio politico degli avversari, a cui pure era riuscita la sfiducia di febbraio.

Ernesto Magorno

 

Mentre il deputato forzista Roberto Occhiuto gira in lungo e largo la regione per espugnare la Cittadella di Germaaneto si prepara la seconda tegola: il 19 ottobre, grazie a una coincidenza singolare, la Corte costituzionale deciderà, in seduta pubblica, sul ricorso presentato dalla Democrazia Cristiana, guidata dall’ex assessore di Rende Eraldo Rizzuti. La Dc ha colpito duro: ha messo sotto accusa la legge elettorale regionale e la Consulta ha considerato ammissibile il ricorso.

Roberto Occhiuto

Il siluro, se la Corte continuasse a dare ragione agli scudocrociati, sarebbe pesantissimo: il Consiglio e la Giunta regionale risulterebbero illegittimi e non sarebbero improbabili nuove elezioni. Non a caso, in quel che resta del centrodestra in molti, specie i giovani, sono ansiosi di candidarsi e scaldano i motori. Se il Pd non riuscisse a incassare la micidiale doppietta, il sistema politico di Oliverio rischierebbe di brutto: senza la Regione e col consenso politico in forse, al governatore non resterebbe che fare i bagagli. E chi s’è visto s’è visto.

 

Soprattutto Ernesto Magorno, a cui toccherebbe, proprio perché segretario regionale, sloggiare per primo. E va da sé che nel Pd, vincitore ma non troppo dopo i disastri del 2011, gli appetiti e, soprattutto, le voglie di rivalsa non mancano. Perciò non è improbabile che, nel segreto dell’urna, tanti elettori, gli stessi che hanno fatto sì che Oliverio fosse il primo cosentino dopo trent’anni a governare la regione, votino no, alla faccia della disciplina di partito, in cui non crede più nessuno.

Mario Occhiuto

Di tutto questo è pronto a profittare Roberto Occhiuto, il fratello minore di Mario. E si arriverebbe a un ulteriore paradosso: Cosenza, già roccaforte rossa della Calabria, diventerebbe la capitale dei moderati calabresi. Anche stavolta per demeriti di un centrosinistra in crisi d’identità.

Mario Margheriti

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