L’associazione FamilyLegal: “I tempi sono maturi per consentire a mariti e mogli di autotutelarsi”.
MILANO – I primi 6 mesi del 2017 hanno visto la fine di molti matrimoni ‘celebri’, soprattutto fra le star d’oltreoceano, come quello fra l’attore e regista americano Ben Stiller e (l’ormai ex) moglie Christine Taylor, che hanno comunicato la loro decisione dopo 17 anni di vita coniugale – apparentemente – felice. Fine dell’idillio anche per Janet Jackson e il miliardario arabo Wissam Al Mana, sposato in gran segreto nel 2012. Per la cantante si tratta del terzo divorzio, quest’ultimo – parrebbe – imputabile all’eccessiva gelosia di lui. Nemmeno il matrimonio fra l’attrice americana musa di Woody Allen Scarlett Johansson e il giornalista francese Romain Dauriac ha avuto vita lunga: dopo appena tre anni e una figlia, Rose Dorothy, di due anni e mezzo, i due hanno annunciato l’addio. Fra le separazioni italiane quella fra la showgirl Elenoire Casalegno e l’attuale direttore di Rete4 Massimiliano Lombardi e quella fra il ‘naufrago’ Sergio Muniz e Beatrice Bernardin.
Negli Stati Uniti, stando a recenti statistiche, il 65% degli avvocati divorzisti americani ritiene che negli ultimi tre anni si sia registrato un netto incremento delle richieste di “prenups” (prenuptial agreement). Il 15% dei coniugi che si trovano a fronteggiare un divorzio dichiarano di essersi pentiti di non averci pensato al momento delle nozze e il 45% dei single ritiene che i patti prematrimoniali siano una buona idea per puntare su un’unione duratura. Quest’ultimo dato vale anche per l’Italia ove, secondo uno studio formalizzato da FamilyLegal, quasi la metà dei nati negli anni ‘80, forse anche per l’esperienza vissuta sulla propria pelle dai propri genitori, si direbbe pronta a regolamentare in anticipo la gestione della fine dei matrimoni e ciò anche alla luce della durata dei rapporti coniugali che, secondo le ultime rilevazioni ISTAT, non durerebbe in media più di sette anni.
Secondo Familylegal, “Sono almeno 5 le ragioni per cui sarebbe necessario approvare i patti patrimoniali”:
2. Nelle giovani coppie è frequente che almeno uno dei due futuri sposi decida di proseguire gli studi coltivando un progetto educativo più duraturo che, almeno nella fase iniziale, non consente di lavorare e quindi di mantenersi autonomamente. “Né il codice civile, né la nostra giurisprudenza prevedono un “diritto allo studio” tutelato per il coniuge, pertanto, senza un patto prematrimoniale, in caso di divorzio non sarà possibile rivendicare un mantenimento giustificando di essere privi di reddito, in quanto studenti”, prosegue Puglisi;
3. Vero è che nel nostro ordinamento giuridico esiste già il regime di separazione dei beni (che dal 2010 ad oggi – come eccezione alla regola generale della comunione, ha registrato un aumento del 45%), “Tuttavia nelle coppie in cui almeno uno dei due coniugi è un imprenditore avvezzo a contrarre fidi, mutui o fideiussioni potrebbe essere sicuramente opportuno utilizzare lo strumento del patto prematrimoniale per evitare sul nascere qualsiasi dubbio sul coinvolgimento finanziario di ciascuno dei nubendi”;
4. Inutile negare che ancora oggi un buon numero di matrimoni rappresenti più un investimento economico che non una scelta di cuore. “Ebbene, con i patti prematrimoniali chiunque abbia ancora il sospetto che il proprio partner sia sospinto più da interessi che dall’amore, può regolamentare il tutto sin dall’inizio così da effettuare un vero e proprio stress test che misuri la potenziale tenuta del rapporto”, aggiunge l’avvocato.
“Ben venga che il matrimonio non sia più considerato come un investimento patrimoniale, ma a questo punto è doveroso che il Parlamento consenta alle coppie che lo desiderino di poter concordare un patto prematrimoniale. Una donna, magari sessantenne e disoccupata abbandonata dal marito non può essere privata dall’oggi al domani del tenore di vita goduto sino a quel momento, ovviamente nei limiti delle condizioni economiche del nucleo familiare”, conclude Puglisi.
