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‘O la smette o gli sparo in bocca’ e il giornalista si trovò sotto scorta senza conoscere il perchè

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BOLOGNA – Oggi in aula la testimonianza del cronista della Gazzetta di Modena figlio di Tizian, l’uomo trucidato nella locride 25 anni fa.

“All’ora di pranzo mi squillò il cellulare: era un dirigente della Mobile di Modena che mi ha comunicato la disposizione di un servizio di protezione perché sono una persona esposta a rischio. Ma non mi hanno detto nulla sul perché”. E’ un passaggio della testimonianza del giornalista Giovanni Tizian, sentito in Tribunale a Bologna nel processo ‘Black Monkey’ (23 a giudizio, 13 per associazione mafiosa), che vede tra gli imputati Nicola Femia, ritenuto legato alla ‘Ndrangheta, che in un’intercettazione parlava del cronista con un altro indagato, Guido Torello, dopo articoli sulla Gazzetta di Modena che non aveva gradito. “Ho saputo più di un anno dopo grazie a giornali e tv, quando è scattata l’operazione il 23 gennaio 2013, il motivo per cui ho la scorta”, ha detto il cronista. Femia era in aula, a pochi metri dal giornalista. Nell’inchiesta ‘Black Monkey’, coordinata dal pm Francesco Caleca, Femia fu intercettato mentre parlava di Tizian con Torello:

 

“In mezza pagina parla di me questo giornalista, ed è già la seconda volta in due anni. Dice… un esponente della ‘ndrangheta, poi questa cosa dei giochi..”, diceva Femia a Torello nella telefonata registrata. E il faccendiere gli rispondeva: “Va bene, mi dici come si chiama il giornale e il nominativo. E lo facciamo smettere immediatamente. Ci penso io, ce l’hai copia?”. E aggiungeva: “Ti dirò che c’e’ un giornalista che rompe le balle ad una persona che mi sta aiutando, poi ti dirò chi è. O la smette o gli sparo in bocca, perché è una persona che mi sta dando una mano”. Parole che fecero scattare le misure di protezione. Lo scorso maggio era stato Femia, con dichiarazioni spontanee, a spiegare in aula di aver “avuto la custodia in carcere per un giornalista, non c’è una denuncia – aveva detto – non c’è un capo di imputazione”.

 

Tizian ha ripercorso oggi in aula la sua storia familiare (dopo l’uccisione del padre nel 1989 nella Locride, si trasferì a Modena, dove ha iniziato la carriera giornalistica) e parlato della sua condizione attuale: “Sono seguito e viaggio con agenti che mi sorvegliano ancora oggi – ha spiegato il cronista – Lavorare ora ha un limite, prima incontravo chiunque, dal pentito ad altre persone…”. Poi, in merito ai due articoli per i quali ora Tizian è sotto protezione, nei quali citava Femia e parlava dell’inchiesta Medusa, sul clan dei Casalesi nel Modenese, ha detto rispondendo a un legale di Femia: “Non ricordo come è finita quell’indagine”. Nell’aula davanti ai giudici (presidente Michele Leoni) erano presenti da spettatori numerosi giovani appartenenti a Libera, una classe di quinta di una scuola superiore modenese e, tra gli altri, il sindaco di Modena, Giancarlo Muzzarelli e il presidente dell’ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino. Il presidente Leoni non ha ammesso le telecamere in aula, né la possibilità di fare registrazioni audio.

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