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Operazione ‘Il Padrino’: ricostruito organigramma della cosca Tegano, 25 fermi. Anche un primario ospedaliero

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REGGIO CALABRIA – L’operazione della Polizia di Stato di Reggio Calabria è scattata all’alba per l’esecuzione di 25 decreti di fermo emessi dalla Dda.

I destinatari sono tutti presunti esponenti della potente cosca di ‘ndrangheta dei Tegano operante nel capoluogo reggino, accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, favoreggiamento e procurata inosservanza pena aggravati dalle modalità mafiose. L’operazione, denominata “Il Padrino”, al termine di un complessa attività investigativa, ha consentito di ricostruire l’organigramma della cosca e di acquisire elementi aggiornati sulle innumerevoli attività illecite gestite dai Tegano.

Alcune delle persone fermate sono accusate tra l’altro, di avere favorito la fuga del boss Giovanni Tegano, arrestato il 26 aprile 2010 dopo 17 anni di latitanza. Tegano, uno degli elementi più in vista della ‘ndrangheta, era stato sorpreso dagli agenti della squadra mobile e dello Sco in una villetta in località Perretti di Reggio Calabria ed aveva cercato di nascondersi in una stanza buia.

L’uomo, 74 anni, era inserito nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi e dal 1995 erano state diramate le ricerche in campo internazionale. All’uscita della Questura di Reggio Calabria, per essere trasferito in carcere, era stato salutato da alcuni amici e parenti con un applauso e con un grido “Giovanni uomo di pace“. Circostanza che all’epoca aveva provocato numerose polemiche. Tegano deve scontare una condanna all’ergastolo ed è ritenuto uno dei protagonisti della guerra di mafia di Reggio Calabria che, tra il 1985 ed il 1991, provocò oltre seicento morti.

Tra le 25 persone fermate c’è anche un primario ospedaliero, Francesco Pellicanò, biologo responsabile del reparto analisi a Polistena. Per lui l’accusa è di associazione mafiosa. Tra i fermati ci sono anche i due generi del boss Giovanni Tegano, Edmondo Branca e Antonio Lavilla, che, secondo gli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria che hanno condotto le indagini, avevano assunto il ruolo di reggenti la cosca dopo l’arresto del capo e le operazioni delle forze dell’ordine condotte contro la famiglia.

 

Secondo le indagini il primario del reparto analisi dell’Ospedale di Polistena, il biologo Francesco Pellicano, era “costantemente nella disponibilità della cosca per qualsivoglia necessità”. Insieme al fratello Giovanni, imprenditore, facevano parte della cerchia di soggetti “a disposizione” della ‘ndrina per organizzare gli incontri tra i sodali e tra questi e terzi. Giovanni Pellicano, indicato dagli investigatori come referente diretto del capo cosca Giovanni Tegano, di cui avrebbe gestito la latitanza e la trasmissione dei messaggi agli altri associati, insieme al fratello Francesco, ha riferito la polizia, si sarebbe anche attivato nel 2010 per raccogliere voti in favore di politici locali alle regionali. Nel covo nel quale era stato poi arrestato Giovanni Tegano, gli investigatori della squadra mobile avevano trovato numerosa documentazione elettorale. Nell’ospedale di Polistena, tra l’altro, il 12 giugno 2009 era stato arrestato, mentre era ricoverato, il boss latitante di Antonio Pelle, alias “Gambazza”, deceduto a Locri il 4 novembre successivo all’età di 77 anni.

L’indagine avviata dalla squadra mobile di Reggio con il coordinamento del Servizio centrale operativo per arrivare alla cattura del boss Giovanni Tegano – poi arrestato il 26 aprile 2010 dopo 17 anni di latitanza – avrebbe permesso di ricostruire l’organigramma della cosca grazie alla video-sorveglianza del punto d’incontro dei vari adepti della cosca individuato in un banco di meloni in località Pentimele, all’interno dello storico quartiere Archi controllato dai Tegano. Giovanni Tegano, 75 anni, attualmente detenuto al 41 bis, è stato il capo indiscusso dell’omonima famiglia e protagonista della seconda guerra di mafia che provocò 600 morti a Reggio Calabria tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90. Ricercato dal 1993, Tegano è stato condannato all’ergastolo nel 2003. L’inchiesta, secondo gli investigatori, ha permesso di individuare e delineare tutta una serie di soggetti inseriti nell’organizzazione e di acquisire notizie aggiornate e dettagliate sui rapporti tra la famiglia dei De Stefano e i più stretti congiunti dei fratelli Tegano che avevano rinsaldato la storica alleanza con il matrimonio della nipote, figlia di Saveria Tegano, con Orazio De Stefano, latitante fino al 2004.

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