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Tsunami 2004, dieci anni dopo

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Migliaia di persone hanno partecipato in Indonesia a una cerimonia in ricordo delle oltre 230mila vittime dello tsunami che il 26 dicembre 2004 devastò 14 Paesi dell’Oceano Indiano.

Religiosi musulmani, sopravvissuti e soccorritori hanno pregato in un mega-raduno nella provincia di Aceh, vicina all’epicentro del sisma che provocò lo tsunami. Altre cerimonie sono previste anche in Thailandia e Sri Lanka.

 

Il relitto di una nave da 2.600 tonnellate, trascinata a oltre due km dal litorale, campeggia a Banda Aceh, la capitale della provincia di Aceh, nell’isola indonesiana di Sumatra, diventata il simbolo dello tsunami che si abbatté dieci anni fa su una quindicina di Paesi affacciati sull’Oceano Indiano. A distanza di un decennio da quel terribile 26 dicembre, le aree colpite sono state completamente ristrutturate e la cerimonia per l’anniversario della tragedia offre l’occasione per fare il punto sui sistemi di sicurezza per evitare che simili catastrofi possano colpire ancora con la stessa intensità.

 

Dopo il tremendo maremoto circa 500 organizzazioni non governative si impegnarono in un gigantesco sforzo di ricostruzione, sostenuto con aiuti complessivi per 14 miliardi di dollari. Centinaia di migliaia di case sono state ricostruite e oggi le poche tracce dello tsunami ancora visibili sono quelle lasciate volontariamente per mantenere vivo il ricordo delle vittime, come il relitto della nave a Banda Aceh. Misure 

 

L’imminente decimo anniversario del maremoto è l’occasione per fare il punto sulle misure prese per cercare di limitare al massimo le perdite umane qualora si verificassero calamità naturali simili. Le autorità locali, soprattutto quelle indonesiane, snocciolano gli interventi di prevenzione effettuati in questi anni: migliori vie di fuga, piantagioni di mangrovie per frenare l’impatto delle onde, rifugi d’emergenza e un sistema coordinato di allarme che si avvale di boe collocate nell’Oceano Indiano.

 

Questi sistemi di sicurezza, tuttavia, preoccupano gli esperti perché non sono ancora stati testati in situazioni di emergenza. In particolare i dubbi riguardano eventuali intoppi nella manutenzione e delle decisioni che spettano alle autorità locali. Peraltro, l’unico precedente è tutt’altro che incoraggiante: nell’aprile 2012, quando un violento terremoto scosse il fondale marino in un punto vicino a quello del 2004, sia in Indonesia sia in Thailandia il sistema acustico di allarme lungo la costa rimase silente.

 

Ricordiamo che il 26 dicembre 2004 il terzo terremoto più potente mai registrato provocò un’onda di maremoto che uccise oltre 230mila persone in 14 Paesi affacciati sull’Oceano Indiano. Interi tratti di costa furono devastati, ma la zona più colpita fu l’isola di Sumatra, la più vicina all’epicentro del terremoto. La provincia di Aceh fu investita da onde alte 20 metri che provocò circa 180mila vittime. Da lì, il maremoto si propagò in tutte le direzioni, raggiungendo la Thailandia (ottomila tra morti e dispersi) e poi India, Sri Lanka, Maldive e perfino la costa orientale dell’Africa. Il mare in alcuni punti penetrò fino quasi a dieci km nell’entroterra, travolgendo qualunque cosa incontrasse sul suo cammino

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