ROMA – Complessivamente, nei primi sei mesi del 2014, sono stati sequestrati beni per 154,7 milioni di euro, mentre ne sono stati confiscati 73,5 milioni.
“L’interesse imprenditoriale della ‘ndrangheta costituisce l’elemento caratterizzante che da tempo si è esteso dal territorio calabrese verso altre regioni”. A confermarlo è la Relazione semestrale della Dia al Parlamento, che riguarda il primo semestre del 2014. La Relazione illustra come la ‘ndrangheta, attraverso una “consolidata rete di relazioni”, abbia “la capacità di infiltrare settori della politica, della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria. Il quadro della minaccia proveniente dalla criminalità calabrese – prosegue la Dia – si completa con il potenziale economico delle cosche che consente di orientare, con successo, i propri interessi verso i circuiti economici”. Sequestri e confische di beni riconducibili ai clan calabresi, che hanno riguardato anche altre regioni, per la Dia “costituiscono il riscontro oggettivo sugli ormai sperimentati meccanismi che conducono, attraverso la fase di accumulazione finanziaria, a sistematiche iniziative volte al riciclaggio e al reimpiego di capitali sui circuiti economico-imprenditoriali“.
“Gli episodi di condizionamento che affliggono gli enti locali calabresi – scrive la Dia ricordando, ad esempio, l’operazione contro la cosca Crea grazie alla denuncia dell’ex sindaco – sono diventati una ciclica emergenza che perdura da tempo e che pone, anche nell’anno in corso, la Calabria quale regione interessata dal più alto numero di provvedimenti di scioglimento di Comuni per infiltrazione mafiosa”. “Sempre in tema di irregolarità amministrativa negli enti pubblici calabresi – prosegue la Relazione – nel semestre in esame si registra la sentenza di condanna in primo grado – 6 anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici – del presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, ritenuto responsabile di abuso d’ufficio e falso in bilancio durante il periodo in cui era sindaco di Reggio Calabria, nonché di tre componenti del Collegio dei revisori dei conti di quel Comune“. Il fenomeno non sarebbe circoscritto alle cosiddette ‘regioni a rischio’. Per questo motivo, spiega la Dia, “non deve essere sottovalutata la specifica capacità della criminalità calabrese di infiltrare enti ubicati in aree anche lontane sfruttando presenze consolidatesi da decenni anche a seguito di immigrazione”. La Dia, in tema di relazioni fra malavita organizzata e politica, ricorda anche l’operazione “Breakfast” che ha portato all’arresto di 7 persone tra le quali l’ex ministro Claudio Scajola, indagato per procurata inosservanza di pena nei confronti dell’armatore reggino ed ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e latitante negli Emirati Arabi.
La relazione prende poi in esame la presenza ‘ndranghetista nelle varie province, dividendo quella reggina nei tre “mandamenti” di cui si compone l’organo direttivo delle cosche, la “Provincia”. Riguardo al mandamento Tirrenico, la Dia sottolinea come il porto di Gioia Tauro si confermi il luogo di transito della cocaina proveniente dal Sud America ed i Piromalli siano la cosca di rilievo nella Piana. Nel mandamento centro confermata la “posizione di supremazia, sulla città di Reggio Calabria, delle storiche cosche cittadine De Stefano, Condello, Libri e Tegano”. Tuttavia, per la Dia “non può trascurarsi una potenziale situazione di fermento, evidenziatasi con due attentati dinamitardi che, l’11 febbraio e il 2 marzo 2014 hanno interessato un noto bar in fase di ristrutturazione con un altro analogo evento, del 3 marzo 2014, ai danni di una gastronomia ubicata in pieno centro”. In provincia di Crotone, la Dia evidenzia come “la geografia criminale del territorio sarebbe in parte mutata dalla nascita del nuovo crimine nel comune di Cutro, riconducibile alla famiglia Grande Aracri che avrebbe assunto il controllo di tutte le attività illecite a nord della regione”.
Nel vibonese confermato, invece, il ruolo egemone dei Mancuso di Limbadi nonostante la cosca “sia stata interessata da diverse attività investigative, con conseguente emissione di più provvedimenti di natura cautelare, che ne hanno indebolito la struttura”. Questa tipologia di “mafia imprenditrice” camuffa la propria presenza dietro il paravento di società ed aziende apparentemente legali. E’ in corso una strategia di “sommersione”, allo scopo di affievolire l’allarme sociale e far prosperare gli affari. “In quest’ottica – sottolinea la DIa – la strategia di aggressione ai patrimoni illeciti accumulati e gestiti dalla criminalità organizzata non può prescindere dallo sviluppo di indagini economico-finanziarie imperniate sulla individuazione dei canali utilizzati per la ripulitura del denaro sporco”. Ma il fenomeno, avverte la Dia, non è circoscritto alla Calabria. In proposito si segnala la prosecuzione della gestione commissariale presso il Comune di Sedriano (Milano), sciolto nell’ottobre 2013.
