Ricostruita oggi in aula anche la mole di stupefacenti che ‘transitava’ da Serra Spiga: “Almeno trecento chili ogni tre mesi”
COSENZA – Processo Apocalisse, alla sbarra i presunti sodali del clan Perna. Un gruppo autonomo a cui la criminalità organizzata cosentina aveva riservato una fetta di mercato in virtù del ‘rispetto’ del boss Franco Perna. Al vertice infatti pare vi fosse suo figlio, Marco Perna, meglio noto come Capone. Questa mattina, alla presenza del collegio giudicante presieduto dal giudice Giusi Ianni e del pm Domenico Assumma, per oltre quattro ore il collaboratore di giustizia Luca Pellicori ha ricostruito i rapporti tra i ‘ragazzi’. Ventidue in tutto gli imputati in attesa di giudizio. Si tratta di Marco Perna, Pasquale Francavilla, Giovanni Giannone, Andrea Minieri, Riccardo Gaglianese, Giacinto Bruno, Alessandro Ragusa, Giuseppe Chiappetta, Alessandro Cairo, Andrea D’Elia, Ippolito Tripodi, Bruno Francesco Calvelli, Denis Pati, Danilo Giannone, Paolo Scarcello, Francesco Scigliano, Domenico Caputo, Francesco Porco, Giuseppe Muto, Alessandro Marco Ragusa e Luca Pellicori. Nel corso dell’udienza sono stati depositati i verbali del neo collaboratore di giustizia Vincenzo De Rose.
IL GRUPPO PERNA: “ERAVAMO COME FRATELLI”
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“Mi hanno arrestato ad ottobre del 2014 per estorsione aggravata. Quando sono venuti a prendermi – racconta il collaboratore di giustizia Luca Pellicori – avevo in casa mezzo chilo di cocaina, una pistola calibro 38, le ‘carte’ con tutta la contabilità dei pusher e Ippolito Tripodi che dormiva sul divano. Ho iniziato a collaborare con la giustizia nell’aprile del 2017 perché ormai temevo per la mia vita, sono evaso dai domiciliari e mi sono consegnato alle forze dell’ordine. Mi sentivo minacciato in casa e volevo che la mia compagna desse la possibilità di una vita diversa ai miei figli. Nonostante ciò lei non ha mai sostenuto la mia scelta, anzi mi ha sempre contrariato.
Mi sono sempre lamentato per il mantenimento perché quando ero in carcere per me e la mia famiglia venivano versati non più di 200 euro a settimana. Il gruppo Perna è composto da ragazzi cresciuti insieme. Non abbiamo ricevuto nessun battesimo, nessuna affiliazione formale, abbiamo visto sempre questi rituali come cose che portano solo guai e galera. Faccio parte del gruppo da 27 anni, sono cresciuto insieme a Marco e ho sempre vissuto in simbiosi con lui. Appena si svegliava mi chiamava, gli portavo la colazione e poi stavamo tutto il giorno insieme. Abitavamo nello stesso palazzo io al quarto e lui al sesto piano. Anche in carcere siamo stati vicini: cella 1 e cella 3. Eravamo come fratelli”.
LE ATTIVITA’ DEL GRUPPO PERNA: “COMPRAVAMO ALMENO 300 CHILI DI MARIJUANA”
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“Ci occupavamo di smistare la droga tra Cosenza, Rende, Amantea e insomma tutto l’hinterland. Marco Perna è sempre stato contrario alle estorsioni – spiega Pellicori – è questo uno dei motivi della lite con Alfonsino Falbo che lo ha portato ad allontanarsi da noi per collaborare prima con Castiglia e Musacco, poi con Maurizio Rango. Io avevo il compito di custodire la droga, tenere la contabilità e le armi. Queste funzioni le ho assunte dopo il pentimento di Silvio Gioia e l’arresto di De Stefanis tra il 2013 e il 2014. Conservavo tutto in un magazzino a Serra Spiga. Il mio posto fu preso da Giuseppe Chiappetta quando fui arrestato. Pistole, fucili, mitra, cocaina, marijuana e hashish furono spostate nel garage di via Pisani, sotto casa di Giacinto Bruno. Ogni due/tre mesi prendevamo tre chili di cocaina, trecento chili di marijuana e cento/centocinquanta di ‘fumo’. Iniziavamo a mobilitarci ed organizzare il carico quando rimanevamo in regime di ‘scorta’ cioè con meno di cinquanta chili.
Il nostro quartier generale era l’autolavaggio. Avevamo una rete, consegnavamo 10/30 chili a pusher e spesso usavamo facebook per comunicare. A settimana io guadagnavo circa 1.500 euro. Quando i ‘venditori’ non rientravano al quarto richiamo interagivamo in maniera incisiva sequestrando auto o intimidendoli. Tra i rifornitori di droga oltre ai fratelli La Cava di Africo, Francesco Cacciola e Umberto Bellocco di Rosarno avevamo due albanesi. A quest’ultimi davamo soldi contanti e auto per pagarli. Da loro prendevamo sempre almeno 200 chili di marijuana. Spesso andavamo a Milano dove abitava uno dei due per parlare e fare lo scambio di denaro, ci muovevamo in bus. Da loro, anche se non era buona compravamo sempre un paio di chili di cocaina. La qualità era scarsa, ma il prezzo risultava conveniente. Per il ritiro della marijuana che arrivava dall’Albania con i gommoni e scaricata in acqua invece andavamo a Cirò o a Corigliano con dei furgoni. Recuperavamo tutto e tornavamo a Cosenza, a Serra Spiga”.
I DISSAPORI CON GLI ZINGARI: “SONO ANDATO CON UN MITRA A VIA POPILIA”
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“I dissapori con il gruppo Rango – Abbruzzese – racconta Pellicori – nacquero a Marano. Lì un ragazzo che spacciava per noi fu fermato da Domenico Mignolo il quale gli disse che non poteva vendere in quel territorio. Il giovane venne subito all’autolavaggio impaurito a riferirci il fatto. Organizzammo subito un agguato a Mignolo, era il giugno del 2014. Andammo in moto io e Alessandro Cairo. Domenico era sotto il portone di casa sua con Leonardo Bevilacqua, Cairo ha sparato, ma lui si è nascosto nel portone e non lo abbiamo colpito. Ci aspettavamo una controffensiva che non tardò ad arrivare. Eravamo al circolo di Mosciaro a Serra Spiga quando Mignolo è venuto a sparare. Chi era presente, Cairo, Giannone e Minieri, si è barricato dentro. Nessuno è stato colpito. Siamo quindi ripartiti in ‘spedizione’. Noi eravamo un gruppo autonomo, se ci toccavano però non guardavamo in faccia nessuno.
Sotto casa di Mignolo all’ultimo Lotto abbiamo sparato diversi colpi, personalmente con il mitra che mi ero portato gli ho tranciato in due la motocicletta, un D Max bianco, che aveva parcheggiato vicino al suo portone. Il giorno dopo non arrivò nessuna loro risposta allora siamo tornati a via Popilia all’Ultimo Lotto per cercare Tonino Abbruzzese, Banana, non c’era e dopo poche ore abbiamo fatto irruzione con le pistole nel bar di De Cicco. A quel punto sono arrivati i carabinieri e noi siamo rientrati correndo al nostro quartiere. La situazione ormai stava degenerando allora è intervenuto zio Rinaldo Gentile che ci fece riappacificare. Lui è una persona molto rispettata a Cosenza, ci disse che dovevamo lavorare ‘senza calpestarci i piedi’. E così fu. Ci siamo incontrati due volte a via Panebianco, ci siamo dati la mano e abbiamo iniziato a collaborare. Mi ricordo infatti che con l’operazione Gentleman avevano perso della marijuana che noi provvedemmo a rifornire loro”.
In foto alcune delle armi sequestrate in via Pisani
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