Site icon quicosenza

LA LETTERA – “Sono 5 mesi che attendo di avere la mia cartella clinica: è inaccettabile”

Ospedale Annunziata Cosenza 03

Riceviamo e pubblichiamo la lettera d’indignazione di una nostra lettrice che ci racconta la sua odissea per ritirare la sua cartella clinica dall’ospedale civile dell’Annunziata.

 

COSENZA – “Ancora una volta mi sono trovata di fronte ad atteggiamenti di scarsissima professionalità da parte degli addetti incaricati all’archivio dell’ospedale Annunziata. Vergognosa la mancanza di organizzazione ma ancor di più l’approccio con il cittadino a cui dovrebbero fornire un servizio, dal cittadino stesso pagato. Riuscire a mettersi in contatto per poi sentirsi mettere giù la cornetta, da una persona, un uomo, il quale è lì per dare indicazioni ed informazioni, perchè “si sbaglia a formulare la richiesta” è mortificante. Richiamare e attendere poi, minuti interminabili per ottenere informazioni semplici, le quali tramite terminale si dovrebbero fornire in pochi secondi, ascoltando in sottofondo le chiacchiere e i litigi in dialetto cosentino fra gli stessi addetti, i quali si distraggono finendo per non capire e richiedere più volte i motivi della richiesta al cittadino che è dall’altra parte del telefono e che inesorabilmente aspetta e continua a pagare il servizio telefonico, lo trovo obbrobrioso”.

“In tutto questo oggi – racconta la lettrice – non ho ancora ciò che è mio diritto avere, nonostante sia stata fatta richiesta della mia cartella clinica lo scorso mese di settembre, compilata con uno di questi addetti, ma soprattutto dopo aver pagato la quota per riceverla a casa. Passati 40 giorni di attesa mio marito si è recato personalmente in archivio a chiedere spiegazioni. La risposta alla sua richiesta è che la stessa, non era idonea. Pertanto siamo stati costretti a rifarla, ma sempre in presenza degli addetti, questo nei primi giorni di novembre. Oggi siamo a fine gennaio e la cartella è ancora in archivio”.

“La superficialità, l’incompetenza ma soprattutto la maleducazione – conclude la lettrice – rende indispensabile un provvedimento verso questi personaggi. In un tempo in cui molta gente resta a casa, con il desiderio di far bene un mestiere, mentre questi altri palesemente e indiscutibilmente insoddisfatti del ruolo che rivestono, è inaccettabile che vengano date loro continuità e opportunità che non rispettano. E’ inaccettabile”.

L’Odissea della lettrice per dare alla luce Lorenzo

Clicca per leggere 

“La mia storia è iniziata il 21 settembre scorso alle ore 7:30 del mattino. Vengo svegliata da contrazioni abbastanza frequenti ma sopportabili e decido di aspettare. Sono 41 settimane di una gestazione andata benissimo, non un disturbo. Un paio di giorni prima mi ero recata in ospedale per fare un tracciato, che non mostrò nessun movimento particolare. Per star tranquilla però, chiesi di poter fare un ecografia per controllare il liquido amniotico, ma mi venne negata. In ogni caso, a 41 settimane con contrazioni ogni 10 minuti in genere ci si reca in ospedale e così ho fatto. Arrivata alle 11:00 del mattino, mi sono recata direttamente al pronto soccorso di ginecologia e ostetricia dell’ospedale civile dove sono stata sottoposta ad un’ecografia prendendomi anche un rimprovero: “Signora lei è senza una goccia di liquido amniotico“.

Ovviamente non era responsabilità loro, nonostante due giorni prima io avessi chiesto di appurarne le condizioni tramite un’ecografia straordinaria (avendo pagato il ticket solo per il tracciato) che ripeto, mi venne negata. Bando alle ciance, sono andata dritta a fare un tracciato che non mostrò nulla per poi essere ricoverata in ginecologia fino alle 17:00, sopportando silenziosamente le contrazioni che man mano aumentavano. Un’ostetrica finalmente, vedendomi dolorante nel mio letto mi indicò di fare nuovamente un tracciato. Mi recai quindi in area nascite e non appena l’ostetrica (per identificarle e diversificarle darò loro un numero) numero 1 mi visitò, disse: “altro che tracciato, lei sta partorendo è gia a cinque centrimetri di dilatazione!”.

Erano le 17:30

“Mi fecero chiamare il mio compagno perchè secondo loro avrei partorito di lì a poco e lui arrivò nel giro di 20 minuti ma passarono circa due ore, e sono stata costantemente monitorata, nonostante l’aumento delle contrazioni. Le ostetriche che mi visitarono furono sempre l’ostetrica 1 e l’ostetrica 2.

Ore 19.45

L’ostetrica 2 mi chiese se dovessi fare pipì e se riuscissi ad andare in bagno, altrimenti avrebbe dovuto mettermi il catetere. Scelsi di andare in bagno con le mie gambe, per cui mi venne tolto il monitoraggio ed impiegai qualche minuto a raggiungere la toilette, le contrazioni ormai toccavano picchi altissimi.

Ore 20:00 – cambio turno ostetriche

Resto sola con il mio compagno in sala parto per circa 15 minuti. Dopo esser riuscita a risalire sul letto, nessuno è venuto a rimettermi il monitoraggio. Finalmente a cambio turno avvenuto, arrivarono l’ostetrica 3 e l’ostetrica 4. Ore 20:10, l ostetrica 3 mi visitò e disse che la dilatazione era intorno a 7cm e i dolori iniziarono a diventare fortissimi, ma loro indisturbate entravano ed uscivano dalla sala parto, mentre nel corridoio, personale vario continuava a passare e spiare all’interno della nostra stanza, parlando e ridendo come se i miei lamenti fossero muti.

Ore 20:20

Iniziai a preoccuparmi e a chiedere di aiutarmi perchè i dolori erano atroci e passò poco da li a quando l’ostetrica 3 entrò e mi ruppe le acque senza avviso preventivo alcuno. Ed è qui che iniziò l’incubo. L’ostetrica 3 inizio’ a chiedermi di spingere, spiegandomi sul momento che dovevo tenere la schiena e le spalle appoggiate, tenere mento contro il petto e non buttar fuori l’aria: “spingi” diceva “spingi come se dovessi fare la cacca”… Facile no?! Lo si fa tutti i giorni.. ancora più semplice se ti infilano dentro una mano, senza ovviamente avvisarti che starà per farlo e che sentirai un dolore lancinante per questo. “Spingi..no!.. adesso respira.. Signora se lei non spinge al bambino non arriva ossigeno..Spingi…lei non sta pensando a suo figlio Signora.. Spingi ” .
Mai uno sguardo comprensivo, atteggiamento duro e distaccato, ed io fui piena solo di tensione e paura al punto che chiesi piangendo e con il volto ormai bordeaux per lo sforzo, il perché mi dicesse determinate cose ed in quel modo. Nessuna risposta, servì però fortunatamente a indurla ad appurare il perché quel bambino non riuscisse a venir fuori nonostante si vedesse già la testa ed appoggiando la sua mano sul mio grembo, si accorse che qualcosa non andava. Fu li che riattaccarono il monitoraggio ed ebbero conferma che dovevano agire e farlo in fretta.

“Dopo innumerevoli sforzi decidono per il cesario”

“Decisero per un cesario d’urgenza, sedia a rotelle sulla quale dovetti sedermi con l’aiuto del mio compagno, fra lacrime e tantissima preoccupazione mi spinsero verso la sala operatoria, dove mi indicarono il lettino su cui da sola dovetti salire, “Salga lì!” , il tutto con la testa del mio bambino in mezzo alle gambe. Anestesia totale, ringraziando il cielo, chiesi piangendo e urlando di fare in fretta, il mio bambino poteva non farcela, lo dissero loro, più volte durante il travaglio”.

“Mi sveglio, sono in una barella e mi stanno portando in camera e i miei familiari hanno tutti il viso scosso ma cerco di rincuorarli, io sto bene dico, Lorenzo? “Lorenzo è in neonatologia”. Dopo un paio d’ore dal parto, le ostetriche 3 e 4 vennero a farmi visita, dicendo che il bambino non sarebbe mai potuto nascere col parto naturale: “cordone ombelicale corto ed attorcigliato”, aggiungendo, “se le ostetriche del turno precedente non avessero tolto il monitoraggio ci saremmo accorti prima del problema”.

Mai dimenticherò lo sguardo ed il silenzio dell ostetrica numero 3, si limitò a far parlare la collega nonostante fu lei, regista del mio parto. Seppi solo dopo diversi giorni che le due, prima di venire in camera a parlarmi, andarono a prendersi un caffè alle macchinette di servizio situate proprio fuori l’area nascite e proprio dove il mio compagno aspettava notizie, il tutto ridendo fra di loro come se nulla fosse successo qualche minuto prima. Dopo la loro visita di cortesia pensai soltanto che non ero io l’incapace e causa delle complicazioni e chiesi addirittura scusa, anche se forse avevo davvero fatto il possibile”.

“Mio figlio trasferito a 200 chilometri per ipotermia”

“Solo l’indomani mattina il mio compagno mi disse la verità, Lorenzo si trovava a circa 200 km da me, in un altro ospedale, spostato d urgenza perchè necessario fare una terapia di 72 ore chiamata Ipotermia, che costringe il bambino sotto sedativo ad una temperatura corporea di 33 gradi: “Ha sofferto di ipossia e non si sa quali danni possa aver comportato a livello neurologico“. Nessuno gli parlò di cordone ombelicale, nonostante fu proprio lui in quanto padre del bambino ad avere le prime notizie sulle condizioni del piccolo. Ero madre da meno di 24ore e invece di assaporarne la gioia, ne scoprii solo il dolore perchè inerme a quanto stava accadendo. Solo la sera seguente al parto, la mia ginecologa si fece viva, nonostante mia madre la chiamò durante il parto per chiederle di fare qualcosa. Vennero lei e l ostetrica 1 a farmi visita, chiedendo a me cosa fosse successo, per poi dare la colpa dell’accaduto alle ostetriche 3 e 4, affermando che io avrei dovuto partorire non prima di mezzanotte e che quindi loro avevano accelerato i tempi. Atteggiamento professionale, voi cosa ne pensate? Tutti insomma si scaricarono la coscienza attribuendo colpe ad altri, nessuno mai, disse la verità.

“Dopo 4 giorni ho visto mio figlio”

“Passarono quattro giorni – scrive raccontando la sua odissea la nostra lettrice – prima che io potessi vedere il mio bambino fortissimo, ne sono passati poi quasi trenta da quel giorno. Siamo ancora in ospedale in attesa di dimissioni, Lorenzo sta meglio ma dovrà nel tempo effettuare diversi controlli per scongiurare danni neurologici. Noi, sia chiaro, non abbiamo mai pensato ad una vendetta nonostante la rabbia ma, vorremmo con tutto il cuore, che ciò che è a noi accaduto, non si ripeta mai più. Per le donne, che hanno il diritto di ricordare il momento della nascita del loro bambino come il più bello della loro vita e per i nostri figli, affinchè non debbano capire quanto la vita sia dura, troppo presto”.

 

Lettera firmata

LEGGI ANCHE:

LA SEGNALAZIONE – Sanità in salsa cosentina: mesi d’attesa per una cartella clinica che è ‘scomparsa’

Exit mobile version