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Cosenza, Stroili, rapina in gioielleria: fratelli predatori patteggiano

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Una violenta rapina, i due fratelli furono incastrati dal Dna, ma l’attività investigativa scoprì anche una serie di furti e danneggiamenti

 

COSENZA – Facevano uso di cocaina (questo è quanto emerso dalle intercettazioni effettuate dagli investigatori dell’Arma) e per acquistarla rapinavano e rubavano utilizzando anche cariche esplosive per riuscire nel loro intento. Hanno chiesto ed ottenuto il patteggiamento i fratelli De Grandis e con loro la sorella e l’amico – complice – di origini magrebine. Il Gup Branda, accolta la tesi della difesa e considerate le attenuanti generiche, ha condannato a 2 anni e 4 mesi Francesco De Grandis, difeso dall’avvocato Ugo Le Donne e a 2 anni e 6 mesi il fratello Vincenzo, difeso dall’avvocato Laura Facciolla accusati di rapina aggravata e furti pluriaggravati. Insieme a loro, complici in alcuni episodi criminali sono stati condannati la sorella dei De Grandis a due mesi, sempre difesa dall’avvocato Laura Facciolla e l’amico – complice magrebino a 4 mesi, quest’ultimo difeso dall’avvocato Cristian Cristiano.

I tre furono tratti in arresto il due marzo del 2017 dopo l’attività di indagine scattata il 3 gennaio dello stesso anno a seguito di una violenta rapina verificatasi in pieno centro cittadino, su corso Mazzini, ai danni della gioielleria Stroili. A compierla i due fratelli, incastrati dal dna del sangue lasciato su una delle vetrine e dalle impronte digitali rilevate a seguito di un accurato sopralluogo effettuato subito dopo i fatti dai militari dell’Arma della compagnia di Cosenza diretta dal capitano Passaquieti. All’epoca dei fatti i due fratelli furono fermati nella stessa giornata a distanza di poche ore. I carabinieri rinvennero all’interno dell’auto ancora i vestiti sporchi. Ma furono rilasciati per mancanza di prove sufficienti. Tra l’alto per i due non era ravvisato il pericolo di fuga. Poco meno di due mesi, tra esami, analisi scientifiche, intercettazioni, pedinamenti e monitoraggi, per mettere nero su bianco il loro ingresso in carcere con prove indissolubili che non lasciavano dubbi sulla colpevolezza. In una conferenza stampa fu ricostruita l’intera attività investigativa: la rapina, la fuga, il primo fermo, le ragioni del rilascio e la scoperta della pericolosità criminale dei sospettati con il loro arresto.

 

I fatti, la rapina in gioielleria

 

Secondo le attività investigative dell’Arma, i due fratelli all’epoca dei fatti abitavanono insieme alla famiglia. I due vivono di notte. Agiscono tra Cosenza, Rende e Montalto Uffugo sotto l’effetto dello stupefacente, per darsi la giusta carica nel compiere le attività criminali.  Coinvolgono anche la sorella che dovrebbe essere anche quest’ultima un’assuntrice di cocaina e un amico. La fine delle loro imprese scellerate iniziano il 3 gennaio scorso con la rapina in gioielleria.

 

Alle 9.45 due giovani armati di coltello rapinarono la gioielleria Stroili Oro sul corso principale della città bruzia. Un quarto d’ora alle 10 i due rapinatori si avvicinano alla responsabile del negozio, in quel momento sola e, sotto la minaccia dell’Arma, dicendole che non le avrebbero fatto nulla, le intimarono di consegnare la chiave che apriva le vetrine dei preziosi. Uno dei due rapinatori, armato di coltello, le bloccava il collo con il braccio. La donna che portava al collo la chiave appensa ad una catenina, cercò di azionare l’allarme ma il rapinatore le ferì la mano con il coltello e le strappò la catenina. I due per fare razzia di diamanti lasciarono libera la donna che riuscì a fuggire fuori dal negozio per chiedere aiuto, cercando di chiuderli all’interno. I rapinatori vistisi scoperti si diedero alla fuga con i preziosi che erano riusciti ad arraffare. Parte della refurtiva, fu abbandonata per strada e, in seguito, restituita al proprietario della gioielleria.
Uno dei rapinatori per aprire la vetrina, usando violenza, con calci e pugni, rimase ferito a sua volta ad una mano, lasciando tracce ematiche sul vetro, sottoposte successivamente a consulenza tecnica per l’identificazione del Dna. I due rapinatori nonostante fossero semi coperti furono riconosciuti nell’immediatezza, attraverso i filmati della videosorveglianza interna del negozio, dai militari dell’Arma. Quest’ultimi, in un controllo serrato del territorio, alla caccia all’uomo, li individuarono poche ore dopo, intorno alle 13.15 a bordo di una Renault Clio, risultata poi intestata al nonno. Alla vista dei carabinieri i due frateli tentarono la fuga ma furono braccati e fermati. Le scarpe del 29enne presentavano macchie rosse presumibilmente ematiche e una ferita da taglio sulla mano sinistra, ancora sanguinante. I due furono rimessi in libertà nonostante le prove prodotte, ma non sufficienti. Non sussitendo un pericolo di fuga, fu predisposto un approfondimento investigativo, piazzando un microcip all’interno dell’auto che rilevò “un desolante spaccato di vita dei due fratelli sempre a corto di denaro da destinare all’acquisto di stupefacenti di cui sono accaniti consumatori, perpetrando una serie di furti” che “ne consacrarono”, la loro entrata in carcere, e oggi la loro condanna alla pena detentiva

 

I furti commessi per raggranellare soldi e acquistare la roba

 

Le indagini hanno portato alla scoperta di  numerosi furti. Un primo commesso ai danni di un negozio di telefonia a Rende il 15 gennaio, dieci giorni dopo la rapina alla Stroili; un bottino di 4mila euro. Introdotti con violenza all’interno del locale forzando la serratura con un piccone, portarono via 13 smartphone, 3 stampanti, un tablet, e altro materiale informatico. Nelle intercettazioni i due fratelli elencano il materiale sottratto al negozio di telefonia. La particolarità fu che, non soddisfatti del bottino e intuendo che il negozio non era fornito di videosorveglianza, ritornarono sul posto per rubare altro materiale. Il bottino fu scambiato nell’immediatezza con la cocaina fornita da uno spacciatore.

 

Il 17 gennaio i due fratelli insieme alla sorella, e sotto l’effetto dello stupefacente, fecero razzia all’interno della stazione di rifornimento “Q8” sempre a Rende, sulla SS107 forzando il distributore automatico di sigarette. Il giorno successivo utilizzando una mini carica di esplosivo forzarono il distributore automatico di profilattici della farmacia Peluso rubando il denaro e la merce. Un magro bottino che li portò a ritornare nella città bruzia e ritentare il colpo con un’altra carica di esplosivo per scardinare il congegno di apertura automatico del distributore di accendini e sigarette in via Panebianco. In quel caso i due fuggirono al sopraggiungere di una gazzella dell’Arma,  non riuscendo nell’intento. Dalle intercettazioni si evinse la rabbia dei due compagni di merenda “sfuggiti” per poco all’arresto e, uno dei due rimasto anche ferito.

 

Due giorni dopo insieme ai fratelli fu il turno dell’amico magrebino, resosi complice nel furto di un’Audi A4 parcheggiata a Castrolibero. Il furto avvenne nel primo pomeriggio. Dalle intercettazioni tra i tre, i carabinieri individuarono l’auto posteggiata in viale dei Giardini a Rende e pronta per essere utilizzata in altri atti criminali tra cui l’assalto ad un negozio “entrate proprio con la macchina di dentro…tanto è rubata…” (intercettazioni, ndc), evidenziando la pericolosità sociale per l’incolumità altrui.
Altro furto fu quello a Rende, di una borsa poggiata sul sedile lato passeggero, contenente 200 euro in contanti, telefono e documenti, qualche ora prima la rapina in gioielleria a Cosenza. Sempre secondo le attività di indagini, uno dei due fratelli aprì lo sportello di una Fiat 500 con a bordo la vittima. I due  furono riconosciuti nelle foto segnaletiche  da due fidanzati, di passaggio in quel momento che, alla richiesta di aiuto della vittima, avevano annotato il numero di targa della vettura, una Clio, risultata intestata al nonno.

 

La conferenza Stampa il giorno dell’arresto, Spagnuolo spiega il perchè del rilascio dei due rapinatori

 

«È semplice operare nell’emergenza e fermarsi al primo tassello. Buttare in pasto all’opinione pubblica  un’operazione e poi chi si è visto si è visto. Magari dopo va a finire che la persona, visto che il quadro accusatorio non è preciso, poi viene assolta. Qui invece i nostri investigatori hanno utilizzato un metodo diverso; sono stati estremamente precisi, razionali e professionali. Quel quadro che all’inizio presentava una serie di ombre tali, che probabilmente si sarebbero tradotte in una mancata convalida da parte del  giudice e in una assoluzione, ora, grazie al lavoro fatto  dai carabinieri della compagnia di Cosenza, questo  quadro è assolutamente preciso e granitico, forte, e si è arricchito di tutta una serie di reati che noi andiamo  a contestare a queste persone». Il procuratore capo della Repubblica bruzia, Mario Spagnuolo durante la conferenza stampa alla presenza dell’aggiunto Manzini, del sostituto procuratore Tridico, dell’allora comandante provinciale dell’Arma, il colonnello Ottaviani e del capitano Passaquieti, comandante della compagnia cittadina, spiega i cardini alla base di un lavoro estremamente preciso che porta a risultati incontestabili.

 

«Io sono  molto soddisfatto di questo tipo di lavoro perché la funzione di un ufficio di  Procura non è quello di fare le operazioni sensazionalistiche,  che poi si  esauriscono su loro stesse, ma è quello  di portare all’accertamento processuale il fatto  reato. E noi di questo siamo assolutamente convinti  e sicuri. Su questo  un dato: l’ufficio Procura di Cosenza,  probabilmente è  uno degli uffici che ha il miglior tasso  nel rapporto  fra esercizio del rapporto penale e sentenze di condanna.  Questo significa che il lavoro portato avanti,  lo abbiamo portato avanti bene; ci gratifica il giudicante.  Quindi, la mia  soddisfazione come responsabile dell’ufficio per  questo rapporto  e lavoro eccezionale  dei carabinieri;  la mia soddisfazione per il lavoro portato avanti  dal dottore Tridico e  dall’aggiunto Manzini, che hanno seguito con grande attenzione questo processo. Non abbiamo le videosorveglianze, come ci sono da altre parti, ma ne faremo a meno. Non è vero che  in questo circondario le rapine vanno ad ignoti. Il lavoro che abbiamo fatto su questa vicenda sta ad indicare che noi  non dimentichiamo, continuiamo a lavorare  e abbiamo  un livello di soluzione dei casi positivo. E continueremo a lavorare in questa dimensione».

 

L’aggiunto Manzini si sofferma sull’uso della droga e la poca attenzione da parte della famiglia. « I soggetti  colpiti dalle misure cautelari  oggi sono molto giovani. Vanno dai 24 ai 28 anni. Sono persone che hanno messo in atto un’attività sicuramente in modo violento, ma che  non danno conto di un’attività organizzata da gruppi particolari. Sono soggetti che si sono messi insieme e che hanno fatto  questa rapina, il delitto più grave in questa vicenda, insieme ad altri fatti di reato parimenti rilevanti.  Sono soggetti che hanno un legame con l’utilizzo di sostanze stupefacenti;  Quindi rientriamo in quei tipi di autori di cui abbiamo già parlato: una criminalità predatoria che pone in essere i delitti in via principale attorno all’uso della droga. Poiché la Procura entra in gioco quando i delitti sono già stati commessi  e quindi ha una funzione semplicemente repressiva,  non dimentica l’importanza dell’attività preventiva,  in modo da evitare che si giunga all’allarme sociale in cui è inserito il contesto  cosentino. Direi che è importante avviare tutte le attività  perché la città sia effettivamente controllata con un impianto di videosorveglianza veramente attivo.  Permettetemi  di fare un “appello” – aggiunge la Manzini-: poiché le indagini ci dimostrano che tutto gira intorno al mondo della droga c’è bisogno da parte della famiglia, specialmente perché si tratta di ragazzi molto giovani di una particolare attenzione. Non più  di un mese fa un procedimento è originato dalla denuncia di una madre coraggio  nei confronti del figlio tossico dipendente. L’importanza in questo momento è quella di far si che ci sia un controllo particolare sul traffico di droga che noi attenzioniamo in modo serio insieme alla polizia giudiziaria, ma c’è sicuramente  necessità di una maggiore attenzione da parte della società».

 

Il sostituto Tridico, titolare dell’indagine illustra il quadro della situazione: «Tale operazione è dimostrativa non certo di una inerzia o attendismo nel perseguire degli episodi criminosi, quanto  dalla necessità di costruire un  quadro probatorio solido e incontrovertibile. Grazie al lavoro capillare  che abbiamo svolto in perfetta sinergia con l’Arma  dei carabinieri siamo riusciti ad installare all’interno dell’autovettura una microspia dove questi due fratelli in particolare, hanno parlato piuttosto liberamente dando lezioni di criminalità. E questo senso di  impunità rafforzava la loro scelta  di delinquere reiteratamente e i carabinieri,  unitamente alla Procura, hanno fronteggiato con capillari  azioni investigative, a dimostrazione  come questo senso di impunità possa essere ridimensionato  solo con azioni di  contrasto efficaci del controllo del territorio che stiamo portando avanti e continuare a fare. Un episodio tra i tanti “utilizzando dell’esplosivo, dopo avere fatto saltare  un negozio, rendendosi conto che non erano presenti le telecamere, sono ritornati sul luogo del delitto per prendere ulteriore refurtiva. Questo dimostra il senso di impunità alto degli arrestati. Le indagini effettuate, in particolare utilizzando un centro di investigazioni scientifico specializzato ci ha consentito  di ricostruire sia per  quanto riguarda l’esame del Dna  che per  le impronte, individuare con assoluta  certezza da rendere granitico il quadro  probatorio».

 

«Abbiamo lavorato in grande sinergia con la Procura – ha dichiarato Ottaviani-. Un’indagine fatta bene con abbondanti elementi. Dobbiamo  aggiungere la necessità di perseguire questi reati perché come si vede nel video questi  sono soggetti non organizzati ma che si improvvisano per sopravvivere . E’  questo li rende molto più pericolosi. Perché “i professionisti del crimine”  sanno sempre bilanciare costi e benefici di quello che fanno. Queste persone nella rapina hanno messo a rischio la vita della donna, si sono feriti nel tentativo  di scardinare le vetrine. Questa è gente pericolosa, nella loro “cialtroneria” criminale sono pericolosi per la gente. E siccome abbiamo altri episodi su cui lavorare  sicuramente non ci riteniamo soddisfatti nel senso che finisce qui. Dobbiamo fare in modo che la delinquenza scompaginata cosentina sia assicurata  alla giustizia perché  costituisce un pericolo per i cittadini più dei criminali  organizzati».
Il capitano Passaquieti si ricollega al concetto di pericolosità: “durante la fase di indagine  abbiamo refertato altri casi di furti perpetrati con l’utilizzo di piccole cariche di esplosivo create da loro per scardinare distributori automatici all’interno di aree di servizio, ai distributori automatici di medicinali  all’esterno delle farmacie. Facevano saltarli in aria per rubarne il contenuto. Sempre in relazione alla pericolosità, nell’attività investigativa  nelle captazione effettuate, loro nel decidere  gli obiettivi sceglievano non solo quelli privi di telecamere  ma ance dove sapevano che a lavorare c’erano persone anziane, un chiaro segnale di pericolosità sociale»

 

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