Franco e Matilde continuano a combattere, nonostante ancora la Giustizia non abbia dato un volto e un nome ai suoi assassini. Per i genitori di Roberta chi ha ucciso è chiaramente scritto nelle carte processuali
COSENZA – Sono passati esattamente 30 anni dall’omicidio di Roberta Lanzino, avvenuto il 26 luglio 1988. La studentessa di 19 anni venne stuprata e uccisa. Fu selvaggiamente fermata mentre, in sella al suo motorino “Sì”, preso in prestito dal fratello Luca, percorreva la strada di Falconara Albanese, diversa dalla statale 107 troppo affollata di macchine, diretta a casa dei suoi, a San Lucido. Omicidio ancora oggi insoluto. Fu imputato Sansone, un pastore locale pluripregiudicato che venne assolto perchè “il fatto non sussite”. I genitori hanno scritto una lettera aperta alla magistratura calabrese, al Csm e al presidente della Repubblica Mattarella. Per i genitori è una vergogna che ancora non siano stati individuati i responsabili. “Non deve passare inosservato, vogliamo giustizia” – queste le parole di Franco e Matilde i genitori di Roberta Lanzino. due i processi e in entrambi i casi gli imputati sono stati assolti.
Per i genitori all’interno degli atti procesuali si trova la risposta chiara dei volti e dei nomi degli assassini della figlia. Matilde non ha più fiducia nella giustizia perchè “tutte quelle che potevano essere le prove non sono state bene usate e deteriorate”; per Franco ancora c’è la speranza di arrivare alla verità. I genitori parlano chiaro, continueranno la battaglia fino a quando non vedranno in galeria chi ha aggredito, stuprato e ucciso Roberta che morì in seguito ad un taglio alla gola, un dissanguamento dovuto alla recisione della carotide. Venne ritrovata con le spalline conficcate nella bocca, per attutire le urla, una caviglia slogata probabilmente nel tentativo di fuga e una cinquantina di ferite. Aveva la maglietta rosa sollevata sul torace; al suo fianco i jeans tagliati lungo le gambe con gli slip lacerati. Il motorino è stato ritrovato a circa 70 metri di distanza. Fu ritrovata dopo una notte di ricerche, poco dopo le sei del mattino.
Di seguito la lettera che i genitori scrivono in ricordo di Roberta, per non dimenticare:
«L’istinto più forte ci suggerisce di tacere, quasi una sorta di autodifesa, ormai giunti alla nostra non più giovane età. Il dovere invece ci dice di parlare, sempre guidati, ovviamente, dalla consueta equilibrata eticità che ha accompagnato la nostra intensa presenza sul territorio in questo trentennio che oggi ci sembra incredibilmente lungo, ma anche incredibilmente veloce. Abbiamo serrato nel cuore e nella nostra intimità la distruzione delle nostre vite; abbiamo offerto al territorio il sacrificio di Roberta, vittima innocente di maschi vili oltre che bruti, facendo della lotta contro la violenza delle donne la nostra lungimirante vision e la nostra quotidiana mission; abbiamo chiesto serietà e professionalità alla Giustizia degli uomini, nei Tribunali; noi abbiamo tenuto fede a questo cammino, con coraggio, perseveranza, fiducia, impegno, sacrificio, bypassando con sacrificio gli inevitabili momenti di ripiegamento e di stanchezza.
Noi dunque ci siamo stati, noi concretamente ancora ci siamo! E il cammino della giustizia, invece, come è stato? Quel 26 luglio Roberta andava “felice coi riccioli al vento verso la sua estate di gioia”. Aggredita e violentata certamente dal branco (due – tre? Chissà!), non ha avuto giustizia. Tutti assolti anche nel secondo sonnolento processo. Gli stessi tribunali riconoscono errori e improfessionalità che hanno impedito di “aprire un varco” in quel muro di terrore visibilissimo e tangibile nelle testimonianze di quella difficile e “pericolosa” strada di Falconara Albanese. Ma noi ancora ci chiediamo con Kafka: “Ci sarà un giudice a Berlino” per Roberta?».
La lettera che i genitori Franco e Matilde scrissero a Roberta:
“Quel 26 luglio 1988… Roberta Lanzino ha 19 anni, Quando, sulla strada per il mare, dove si sta recando, in motorino, seguita a breve distanza dai genitori che si fermano per brevi soste impreviste, viene selvaggiamente aggredita, seviziata, violentata e uccisa. La sua giovane vita viene spezzata, così, all’improvviso e casualmente. Una semplice, felice, solare, ragazza, muore, barbaramente muore, per la sola “colpa” di essere donna. Una ragazza, una possibile figlia di ogni mamma e di ogni papà.”
“Concluso brillantemente il primo anno di vita universitaria, si preparava a vivere la spensierata felicità di una estate al mare, in attesa di una nuova esperienza che l’attendeva a Settembre, in un Campus sindacale. Settembre che per lei non arriverà mai. Arriva invece la mano assassina degli stupratori. Roberta muore, per un taglio alla gola: le spalline, conficcate nella bocca, certo per attutire il suo urlo di dolore; almeno cinquanta ferite e una caviglia slogata: il suo vano tentativo di sfuggire alla furia delle bestie umane.”
“E sul suo corpo, l’impronta biologica degli assassini, quel liquido seminale, testimonianza di una violenza connotata. Eppure lo Stato, ha assolto. Non per assenza di indizi, ma perché la scienza investigativa, che ha il compito di elevare alla dignità di prova gli indizi raccolti, si è dimostrata inadeguata, improfessionale, incapace, come apertamente dichiara la stessa sentenza di assoluzione.”
“La Storia di Roberta è questa. Ha camminato con noi, limpida, luminosa, bella, semplice, pulita. Ha seminato sana allegria. Ci ha amato. La Fondazione “Roberta Lanzino” nata da quella tragedia, e voluta fortemente dai genitori, assume nel tempo significati sempre più decisi e simbolicamente forti. Prima è il desiderio di memoria, è la mano tesa alla collettività perché non dimentichi quel sacrificio; è la voglia di dare all’assurdità inspiegabile, un senso; alla morte, l’illusione della vita.”
“Poi diventa di più. La certezza che quella tragedia non può rimanere patrimonio privato del singolo, perché essa appartiene alla coscienza di tutti. Il diritto alla Vita e alla Giustizia negato a Roberta, è il diritto alla Vita e alla Giustizia negato ad ogni Uomo e ad ogni Donna. La morte di Roberta, non la prima nella Storia della Calabria, non certo la prima nella Storia delle Donne, ha rappresentato per la Regione, un punto di non ritorno: da lì, sono nate nuove consapevolezze e se oggi, anche in Calabria, si riesce a nominare la violenza alle donne e ai minori, lo si deve molto alla forza propulsiva di quella morte, che ha spinto in avanti la costruzione di una cultura del rispetto dei generi e dei deboli.”
“Roberta, così, vive tra noi, motore vivo di questa forza che vuole diffondere consapevolezza del diritto; vuole creare luoghi di solidarietà e di parola, per accogliere e sostenere. E questo non è più solo desiderio di memoria, ma è molto di più: E’ circolazione di pensiero. E’ ascolto e attenzione. E’ messaggio. E’ fatica. E’ amore. E’ testimonianza dolorosa, ma caparbia, che nessuna tragedia può rimanere inutile.”
