Due giovani di Mendicino sono stati condannati dalla Corte d’Appello di Catanzaro, per la prima volta in sede civile, al risarcimento dei danni quantificato in svariate centinaia di migliaia di euro
CATANZARO – Prima le sollecitazioni petulanti, poi i bulli passano all’azione perpetrando la violenza sessuale di gruppo. La Corte d’Appello di Catanzaro ha ulteriormente condannato – per la prima volta in sede civile – al risarcimento dei danni quantificato in svariate centinaia di migliaia di euro due giovani di Mendicino di età compresa tra i 16 ed i 17 anni per condotte persecutorie e violenza sessuale di gruppo su una giovane – all’epoca dei fatti – di 13 anni che chiameremo Maria.
Una vicenda senza precedenti che dopo più di 15 anni di battaglie legali riscontra la domanda di giustizia avanzata da un’adolescente, costretta a subire le attenzioni violente dei suoi aguzzini a Mendicino, prima bulli e poi carnefici, è iniziata nel 2004 e, purtroppo, resterà per sempre scolpita nella mente e nel corpo di Maria (il nome è di fantasia).
Condannati al risarcimento anche i genitori
I Giudici di secondo grado, e prima ancora il Tribunale di Cosenza, non hanno considerato l’episodio di violenza sessuale come un fatto isolato, ma come strettamente connesso ad una personalità incline alla violenza, alla sopraffazione ed all’aggressività degli altri, evidenziando in modo marcato, i limiti dell’educazione non adeguata impartita dai genitori dei violentatori che, per questo, sono stati condannati a rispondere dell’accaduto, ai sensi dell’art.2048 c.c.
Quei terribili momenti resteranno indelebilmente asserviti nelle cellule cerebrali di Maria che spera di non incrociare mai più lo sguardo di quei ragazzi che, senza indugio, hanno ammesso le proprie responsabilità dinanzi al Tribunale dei Minori di Catanzaro in sede penale ma che, applicando la insufficiente normativa vigente, li ha “perdonati”, dandogli la possibilità di non saggiare la dura realtà del carcere che, forse in questo caso, avrebbe rappresentato il risvolto più adatto alla domanda di giustizia avanzata dalla vittima e dalla sua famiglia.
La condanna al risarcimento dei danni è finalmente arrivata per quei minorenni, che forse avrebbero meglio compreso il disvalore sociale, morale e materiale del loro gesto e soprattutto delle condotte illegittime poste in essere ed ammesse ai danni di Maria. Ed infatti, il Tribunale di Cosenza prima ed oggi la Corte di Appello di Catanzaro, dopo numerose perizie, hanno condannato loro e le loro famiglie ad una somma a cinque zeri a titolo di risarcimento del danno, anche se il processo inizialmente aveva registrato un notevole ritardo a causa del comportamento del precedente avvocato che, chissà per quale oscuro motivo, aveva tenuto fermo il fascicolo per oltre cinque anni, al limite della prescrizione, al punto da imporre da parte della famiglia di Maria un esposto all’Ordine degli Avvocati di Cosenza mai trattato seppur la gravità del fatto ne imponeva una censura immediata.
L’avv. Massimiliano Coppa
Solo dopo lungo tempo ed il nuovo incarico affidato all’Avv. Massimiliano Coppa – si è finalmente giunti a due sentenze esemplari che in pratica hanno svelato una frenetica attività molestatrice evidenziando – senza tema di smentite – un progressivo scadimento delle condotte e le inaccettabili implicazioni residuate alla vittima ed alla sua famiglia. In verità il Tribunale di Cosenza ha posto l’accento sulla responsabilità delittuale posta in capo ai carnefici di Maria che non hanno, peraltro, affatto ponderato l’enorme sproporzione tra il valore dei beni giuridici oggetto di bilanciamento e la sua condotta anti giuridica.
L’accertamento dei giudici civili – a tale riguardo – non è stato soggetto a limitazioni di sorta e ha approfondito i temi, anche per ciò che attiene ai mezzi di prova ed ai criteri di valutazione della prova, alle normali regole del processo civile, essendo stato giustamente condotto secondo la legge penale. Occorre segnalare che la sussunzione della fattispecie in esame nell’ambito concettuale, di elaborazione prettamente dottrinale, ha imposto nel tempo una valutazione circa la gravità e la serialità delle condotta avuto riguardo alla ripetitività delle stesse, occorrendo che tra i più episodi – come nel caso di specie – sussista un legame. Per la prima volta è emersa l’assoluta autonomia del giudizio civile, avente ad oggetto l’accertamento dell’illecito e la condanna del responsabile al risarcimento del danno che ne sia conseguito, rispetto al processo penale eventualmente originatosi dalla querela proposta dal danneggiato. Pertanto, occorre evidenziare il messaggio sancito dal Tribunale di Cosenza in sede civile, laddove lo stesso ha ammesso non solo la possibilità di esercitare l’azione risarcitoria in sede civile, anziché nel processo penale, ma che la scelta di tal genere non pregiudica in alcun modo i diritti della persona offesa da questo tipo di reato odioso, anche se la riprovevole tesi difensiva degli autori della brutale violenza ha tentato di buttare fango sulla vittima, paragonandola alla protagonista del romanzo del Marchese De Sade “Le disavventure delle Virtù”.
