Giuseppe Graviano al processo “‘Ndrangheta stragista”, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo, ha respinto ogni addebito in merito alle testimonianze rese da numerosi collaboratori di giustizia
REGGIO CALABRIA – Si è conclusa nel pomeriggio la deposizione di Giuseppe Graviano al processo “‘Ndrangheta stragista”. Dopo avere fatto il nome di Silvio Berlusconi, il boss del quartiere palermitano di Brancaccio, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo, ha respinto ogni addebito in merito alle testimonianze rese da numerosi collaboratori di giustizia. Graviano ha negato di avere mai parlato “con Gioacchino Pennino di ambienti massonici palermitani vicini a Cosa nostra perché con certa gente non volevo a che fare”. E sui rapporti con la ‘ndrangheta, il boss ha dichiarato la sua “totale estraneità”, come nel caso dell’episodio riferito dal suo ex autista Antonio Tranchina, “di essersi portato negli anni ’90 ben tre volte a Bova (Reggio Calabria) insieme alla sorella di Graviano per contattare il boss della ‘ndrangheta Domenico Vadalà, ‘lupu i notti’, e chiedergli di intervenire presso ambienti della Corte di Cassazione per tentare di ‘aggiustare’ gli esiti di un processo in cui era coinvolto il fratello Filippo”. Graviano ha anche escluso di avere ricevuto mandato da Leoluca Bagarella, attraverso i pentiti Tony Calvaruso e Nino Mangano – quest’ultimo reggente del mandamento di Brancaccio dopo la cattura del boss – di contattare i calabresi nell’attuazione del progetto stragista degli anni ’90 voluto da Totò Riina.
