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Cosenza, duplice omicidio Chiodo-Tucci. Chiesto l’ergastolo per i 5 imputati

Tribunale di Cosenza 40

Chiesto il fine pena mai per Luigi Berlingieri, Saverio Madio, Antonio Abbruzzese, Fiore Abbruzzese e Celestino Bevilacqua accusati del delitto avvenuto a via Popilia il 9 novembre del 2000 nel quale furono uccisi Benito Chiodo e Francesco Tucci

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COSENZA – In Corte d’Assise di Cosenza, presieduta dal presidente Paola Lucente, con a latere Giovanni Garofalo,  il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Vito Valerio, ha chiesto la condanna all’ergastolo, con isolamento diurno per 18 mesi, per Antonio Abruzzese di 49 anni, Luigi Berlingieri, di 49 anni, Saverio Madio di 57 anni, Celestino Bevilacqua di 58 e Fiore Abruzzese di 54 anni. Per gli inquirenti tutti stabilmente inseriti nella criminalità mafiosa cosentina e accusasti di aver ordito e materialmente seguito l’omicidio di Benito Aldo Chiodo avvenuto oramai 20 anni fa nel quartiere di via Popilia a Cosenza e nel quale rimase ucciso anche Francesco Tucci.

Il duplice omicidio di Chiodo 39 anni e Tucci, 48enne, avvenne a novembre del 2000. I due vennero crivellati di colpi in via Popilia. Tucci sarebbe stato ucciso solo perché si trovava in compagnia di Chiodo, vero bersaglio del delitto, così come Mario Trinni rimasto ferito nell’agguato. Chiodo, Tucci e Trinni stavano chiacchierando in una piazzetta nei pressi del carcere di via Popilia, quando da un’auto scesero due sicari incappucciati che iniziarono a sparare all’impazzata. Trinni riuscì a fuggire mentre Chiodo e Tucci furono colpiti. I sicari, poi, spararono alla testa delle due vittime il colpo di grazia con una pistola calibro 9. Il provvedimento restrittivo arrivò nel 2018 e fu emesso dal Gip del Tribunale di Catanzaro, all’esito delle indagini coordinate dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri e dal Sostituto Procuratore Camillo Falvo, sui soggetti di spicco della criminalità organizzata cosentina di etnia nomade. Per tale fatto di sangue, a seguito di indagini pregresse, svolte dalla DIA di Catanzaro era già stato condannato Francesco Bevilacqua, alias “Franchino di Mafalda”, all’epoca dei fatti capo degli zingari di Cosenza, poi divenuto collaboratore di giustizia, che fin da subito aveva svelato tutti i retroscena del delitto, rivelando i nomi di tutti i partecipi all’azione, le modalità di esecuzione e il movente, da ricercare nel mancato rispetto, da parte di Chiodo dei patti stretti dai nomadi con l’allora gruppo confederato Lanzino-Cicero, circa la spartizione dei proventi di alcune attività illecite precluse agli zingari (estorsioni, usura e traffico della cocaina).

 

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