Il blitz è scattato alle prime ore di questa mattina, nelle province di Reggio Calabria, Teramo e Benevento. I carabinieri hanno eseguito 14 misure cautelari
REGGIO CALABRIA – Dodici persone sono finite in carcere e 2 agli arresti domiciliari. Tutti sono ritenuti responsabili, a vario titolo ed in concorso tra loro, di traffico ed associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, favoreggiamento personale di latitanti appartenenti alla ‘ndrangheta, detenzione e porto abusivo di armi da sparo comuni e da guerra. Altri 7 soggetti sono indagati in stato di libertà.
La base in una cava di inerti
L’operazione, denominata Gear, ha consentito di disarticolare un sodalizio che aveva stabilito la sua base nevralgica in una cava di inerti ubicata a Gioia Tauro, la cui finalità prioritaria era quella di agevolare la latitanza di pericolosi boss della ’ndrangheta sottrattisi, nel corso del tempo, ai relativi provvedimenti di cattura emessi dall’Autorità Giudiziaria.
L’organizzazione curava inoltre un indefinito numero di traffici di consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana, eroina ed hashish e custodiva numerose armi da sparo comuni e da guerra, detenute in modo clandestino, che andavano a rafforzare l’efficacia ed il potenziale delle altre aggregazioni criminali del «Mandamento Tirrenico» della provincia di Reggio Calabria.
Le indagini hanno riguardato un periodo temporale tra il mese di luglio 2017 ed il mese di dicembre 2018 e sono partite dalla cattura dei latitanti Antonino Pesce di 38 anni , Salvatore Etzi di 47 anni e Salvatore Palumbo di 40.
In particolare, il monitoraggio di mogli, fidanzate, parenti e favoreggiatori dei latitanti ha consentito di far emergere la centralità del sito di estrazione, in contrada Pontevecchio di Gioia Tauro, che in realtà era lo snodo delle attività delittuose gravitanti principalmente attorno alle figure dei cugini Girolamo, Alessandro e Antonino Bruzzese, tutti tratti in arresto.
Il monitoraggio di questa cava permetteva ai Carabinieri di Gioia Tauro di catturare, il 14.04.2018, un quarto latitante, Vincenzo Di Marte, inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi, ritenuto un elemento di spicco della cosca di ‘ndrangheta Pesce, operante nel territorio di Rosarno, ed irreperibile dal mese di giugno 2015, quando si era sottratto all’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, emessa nell’ambito dell’operazione “Santa Fè”, condotta dalla Guardia di Finanza di Catanzaro, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale delle sostanze stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità e dell’aver agevolato la cosca di riferimento e quella degli “Alvaro” di Sinopoli; reati per i quali il Di Marte era già stato condannato in primo grado alla pena della reclusione di anni 14.
Gli indagati avevano diversi ruoli:
– mettevano a disposizione dei latitanti Etzi Salvatore, Pesce Antonino e Di Marte Vincenzo, immobili da adibire a rifugio/covo durante la latitanza; fornivano loro generi alimentari e di prima necessità, nonché strumenti meccanici ed elettronici; procuravano agli stessi appuntamenti con soggetti terzi; garantivano incontri e mantenevano i contatti tra i familiari ed i ricercati; organizzavano gli spostamenti dei latitanti quando le situazioni ambientali lo richiedevano;
– si associavano stabilmente tra di loro per commerciare ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, eroina, marijuana e hashish, anche importati dall’estero da paesi come l’Albania, la Grecia, il Marocco, la Spagna e la Turchia per poi rivenderli nel territorio nazionale, organizzandone l’occultamento, il trasporto e la cessione. Talvolta lo stupefacente veniva nascosto in appositi borsoni collocati in container trasportati tramite vettori navali;
– detenevano e occultavano numerose armi da sparo comuni e da guerra, anche appartenenti a terzi soggetti.
Il traffico di droga come fonte di guadagno
Il traffico degli stupefacenti ha rappresentato un’importante fonte di guadagno illecito per gli indagati. Nel corso dell’indagine sono stati documentati acquisti e rivendite di carichi di sostanza stupefacente, che potevano arrivare fino a 270 kg di hashish e marijuana per volta, anche importati dall’estero, nonché il sistematico occultamento all’interno della cava di numerosi “pacchi” da mezzo chilo l’uno.
Le vendite all’ingrosso venivano organizzate e materialmente svolte dagli indagati. A capo dell’organizzazione c’erano individuati Girolamo, Alessandro e Antonino Bruzzese e Pierluigi Etzi che si riunivano nella cava per stabilire le linee programmatiche dell’associazione di narcotrafficanti e decidevano le fonti di approvvigionamento, le condizione economiche, le modalità di trasporto e individuavano i soggetti incaricati della successiva rivendita, assicurando nel contempo il finanziamento dell’associazione e il reinvestimento dei proventi illeciti.
Numerose sono risultate anche le armi nella disponibilità degli indagati, a dimostrazione di un’endemica pericolosità sociale dei componenti dell’organizzazione: pistole semiautomatiche cal. 7,65, cal. 9×21, cal. 38 special, acclarando l’occultamento delle stesse in borsoni fino a 30 pezzi in contemporanea, ma anche armi da guerra, come un fucile mitragliatore Kalashnikov.
L’operazione colpisce duramente soggetti al servizio delle diverse ramificazioni della criminalità organizzata della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione ed al mantenimento del potere mafioso. La volontà di svolgere periodi di latitanza nel territorio di origine e di influenza, indica ancora una volta la necessità di mantenere in ogni condizione un contatto diretto con il territorio, al fine di non mettere in discussione la forza intimidatrice della consorteria di appartenenza. Di contro, il capillare controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri sotto il coordinamento e l’indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, hanno garantito la sistematica individuazione dei latitanti e consentito di colpire duramente tutte le attività delittuose tipiche della ‘ndrangheta, nonché tutti i soggetti, anche non affiliati, che in qualunque forma la favorivano.
I destinatari dei provvedimenti cautelari, tutti originari della Provincia di Reggio Calabria, sono:
1) BRUZZESE Alessandro, di anni 39 (custodia in carcere);
2) BRUZZESE Antonino, di anni 45 (custodia in carcere);
3) BRUZZESE Girolamo, di anni 50 (custodia in carcere);
4) BRUZZESE Girolamo, di anni 37 (custodia in carcere);
5) CILONA Michele, di anni 38 (custodia in carcere);
6) CONTEDUCA Giuseppe, di anni 29 (custodia in carcere);
7) ELIA Rocco, di anni 40 (custodia in carcere);
8) ETZI Pierluigi, di anni 42 (custodia in carcere);
9) GIARDINO Michele, di anni 29 (custodia in carcere);
10) MAIOLO Giuseppe, di anni 58 (custodia in carcere);
11) PISANO Salvatore, di anni 28 (custodia in carcere);
12) PROCHILO Vincenzo, di anni 39 (custodia in carcere);
13) FAZARI Mariateresa, di anni 35 (arresti domiciliari);
14) PERRELLO Francesco, di anni 27 (arresti domiciliari),
